Angels don't fly

Finita

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    Ragazze sono molto indietro con il capitolo, spero di poter postare in tempo!
     
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  4. Capricorn2187
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    Lou purtroppo il chappy non c'è. Ho avuto parecchi casini e non l' ho ancora finito.
    Mi scuso con tutte.
     
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    QUOTE (*billaly* @ 22/12/2010, 08:53) 
    Lou purtroppo il chappy non c'è. Ho avuto parecchi casini e non l' ho ancora finito.
    Mi scuso con tutte.


    aspetto :sweatdrop:
     
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  9. Mondlicht
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    Aspetto betaggio del chap e appena possibile posto.

    Sappiate che per finirlo non ho fatto le pulizie. <_<
     
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  11. barby's
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    Sappiate che per finirlo non ho fatto le pulizie.

    mi sembra giusto, prima il dovere e poi il piacere XD image
     
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  12. Capricorn2187
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    mi sembra giusto, prima il dovere e poi il piacere XD

    :ehsì:
     
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  13. Mondlicht
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    Capitolo 8

    É dolce quello che tu mi dici, ma più dolce è il bacio che ho rubato alla tua bocca.
    Heinrich Heine



    La casa di Tom era, in fondo, proprio come Bill se l’era immaginata durante il tragitto. Disordinata, ma organizzata, nulla era veramente fuori posto. Era piccola, ma confortevole. Avrebbe osato dire viva, nulla a che vedere con la villa immensa e così terribilmente vuota nella quale abitava lui.
    In salotto una quantità industriale di CD e DVD riempivano le mensole di un mobile, insieme a libri dai più svariati argomenti, sul tavolino varie riviste di giardinaggio e cataloghi erano posati in ordine sparso. Un paio di scarpe sbucavano da sotto la poltrona e alcune briciole erano state dimenticate sul tavolo insieme ad un bicchiere. Sorrise tra sé, doveva esser fantastico vivere da soli. Aver, sì, sempre qualcuno da cui tornare, ma poter decidere di trascorrere una giornata in solitudine ad attendere in ozio il calar della sera.

    La semplicità di un vita comune era ciò che veramente gli mancava.

    Il suo sguardò si soffermò sulle fotografie appese ad una delle pareti e rimase colpito in particolare da un’immagine che ritraeva Tom bambino in braccio ad un uomo. Gli cingeva il collo con le braccia e le loro espressioni erano felici.

    “Era mio padre,” gli sussurrò Tom alle sue spalle. “ E’ morto dieci anni fa...leucemia. E’ stata scattata un anno prima che si ammalasse.” Continuò con tono neutro.

    “Mi dispiace.” Riuscì solo a dire il moro.

    “Non devi dispiacerti. Mio padre era una grande persona e io l’ho amato profondamente e, sebbene sia venuto a mancare così prematuramente, i suoi insegnamenti e il suo ricordo mi accompagneranno per sempre.” Disse con fermezza. Il tono era quasi solenne, come a ricordare un grande eroe.

    “Anche io ho perso i miei genitori molto tempo fa,” sfiatò, fissando il volto del giardiniere.

    “Lo so, il tuo manager non fa altro che ripeterlo in ogni occasione.” Rispose grave.

    “Non ricordo neppure il loro volto.” Continuò, deglutendo rumorosamente. Avrebbe voluto possedere la determinazione di Tom ed essere in grado di ricacciare quelle lacrime che premevano per uscire.

    “Ma loro vivranno per sempre qui.” Gli disse Tom, posando leggero una mano all’altezza del suo cuore.

    Il moro sbuffò, cercando di sorridere e riprendersi. Stava facendo la figura dello stupido. Distolse lo sguardo da quegli occhi nocciola che lo osservano con un’espressione indecifrabile, mentre il suo cuore accelerava il battito. La mano di Tom era ancora posata sul suo petto e ciò gli procurò un’ondata di eccitazione. Poteva avvertirne il calore benefico attraverso il tessuto leggero della t-shirt.

    Si allontanò di un passo fingendo esagerato interesse per un poster degli Aerosmith.

    “Wow! Che foto!” Esclamò fin troppo entusiasta.

    “Bella vero? L’ha scattata Simone un paio di anni fa, durante uno dei loro concerti.“

    “Simone?” Sentì all’ improvviso il terreno mancargli sotto i piedi. Non aveva considerato la presenza di un’altra persona nella vita di Tom.

    “Mia madre. Era una brava fotografa, anche se per lei ora è solo un hobby. Si è trasferita a Santa Monica e gestisce con sua sorella un negozio di abbigliamento.”

    “Forse allora conosceva George Listing...” Sussurrò Bill.

    “Siamo stati ad una sua mostra, un po’ di tempo fa.” Rispose l'altro evasivo. Era grazie a quelle fotografie che era iniziato il suo interesse per il moro. Quegli scatti così intensi e tristi, il più delle volte.

    “George è stato l’unica persona importante della mia vita recentemente. Con lui hanno seppellito anche una parte di me.” Ora toccò a lui assumere il tono delle grande occasioni. Doveva tanto all’amico ed era giusto che tutti ne fossero messi al corrente.

    “Lui mi ha dato tanto e mi ha considerato un suo pari da subito. Non una star o un reietto da raccogliere dalla strada. Mi ha sgridato, mi ha sostenuto, esortato a combattere per riavere la mia libertà, a non mollare mai. E tutto è andato bene, fino a quando non ha deciso di partire per l’ Iraq e lasciarci così le penne.” Concluse quasi con stizza.

    “Ho letto della sua morte...” Sussurrò dispiaciuto.

    “Quello che hanno scritto i giornali non è la verità. L’hanno dipinto come una delle tante sfortunate vittime di quel tragico attentato, mentre quell’idiota era in realtà partito lasciandosi tentare dalla cifra spropositata che il Los Angeles Times gli aveva offerto per quel reportage. Avevo cercato di dissuaderlo in ogni modo, inutilmente, offrendogli io stesso il denaro purchè non partisse. Ma è stato impossibile frenare il suo entusiasmo, spegnere quella luce febbrile che gli faceva splendere gli occhi al pari di due smeraldi. Ci ha così pensato quel kamikaze che si è fatto esplodere nel centro di Bagdad a fotterlo per sempre.” Le ultime parole erano state pronunciate quasi in un soffio, era chiaro quanto a Bill facesse male quel tragico ricordo.

    Tom sentì il cuore battere dolorosamente nel petto, non poteva sopportare quell’espressione così triste sul bel volto del moro. Gli posò una mano sulla spalla, cercando di trasmettergli conforto. Ad essere sinceri non sapeva proprio cosa dirgli, ma avrebbe pagato oro per vedere di nuovo il suo sorriso illuminargli il viso.

    “Le prove più dure spesso le devono affrontare coloro che rimangono in vita. E’ un percorso lungo, ma non infinito.” Disse infine, sperando che il cantante sapesse dare il giusto peso a quelle parole.

    “Come si fa a smetter di soffrire e giungere alla fine del percorso?“ Chiese il moro, asciugandosi una lacrima furtiva che scendeva sulla guancia candida.

    “Guardare avanti e non arrendersi mai. Loro vorrebbero vederci così.” Rispose Tom, dirigendosi in cucina e facendogli cenno di seguirlo.

    “Più facile a dire che a farsi, non pensi? Il dolore non si spegne a comando!” Affermò Bill, mettendosi seduto su uno degli sgabelli della penisola.

    “Però si può evitare di alimentarlo. Le persone care che ci hanno lasciato non torneranno comunque e struggersi per loro non ha senso. Meglio ricordarle per ciò che hanno significato per noi e magari farle vivere per sempre in un modo più costruttivo, non credi?”

    “Non so se esser affascinato dalla tua teoria o averne paura. Vorrei solamente possedere un briciolo della tua forza!” Esclamò il moro, accennando un sorriso.

    “Io non ho una teoria, penso solo che la vita valga la pena di esser vissuta comunque. E non sono forte come sembro,” confessò.

    “Lo sei, sicuramente più di me.” Ammise il moro.

    “Credo che anche tu lo sia, ma probabilmente sei così impegnato a compiacere gli altri che dimentichi te stesso e i tuoi sentimenti troppo spesso.”

    “Mi sembra una seduta dallo psicanalista.” Rispose Bill, con un'espressione un po' imbronciata.

    “Lo è. Psicanalizzare le persone è il mio secondo lavoro.” Scherzò Tom, aprendo il frigo.

    “Tom la mia vita è una merda. Se avessi voluto analizzare sul serio i miei pensieri, ti assicuro che non avrei tentato il suicidio gettandomi da un cazzo di molo. Ci sono sistemi migliori per morire.”

    “Ma non c’è nulla che giustifichi un gesto del genere. Bill tu possiedi molto di quello che la gente sogna e che per ovvi motivi non può ottenere. Il tuo problema sono le persone che ti circondano e che ti hanno fatto credere di esser solo un oggetto. A partire da David.” Azzardò, per cercare di smuoverlo.

    Bill lo guardò quasi colpevole. Aveva ragione, in fondo, e proprio per questo quelle parole facevano dannatamente male. I principali problemi erano sul serio il suo manager e la totale mancanza di fiducia in se stesso. Poteva ingannare i fan durante un live, ma non una persona attenta come Tom. Sospirò rumorosamente guardando fuori dalla porta-finestra aperta. Il cielo nero prometteva pioggia, già in lontananza si intravedeva qualche lampo che di tanto in tanto squarciava le nubi dense. L’aria era intrisa dell’odore di polvere bagnata.

    “Adoro i temporali.” Sussurrò il moro, cambiando repentinamente discorso, mentre usciva sulla veranda. Non voleva trascorrere la serata a discutere della sua psiche malata e a raccogliere i cocci della propria esistenza ridotta in mille pezzi. Se doveva occuparsi di più di se stesso avrebbe cominciato in quel preciso momento, cercando di godersi la compagnia di Tom.

    “Dovevamo rimanere a Venice, starei per ore a contemplare l’oceano in tempesta.” Continuò, lasciando che il vento scompigliasse i suoi lunghi capelli che nel frattempo aveva sciolto. Tom lo osservava ammirato, la luce tenue proveniente dalla cucina illuminava fiocamente la sua figura, conferendogli un aspetto etereo. Gli occhi chiusi, quelle labbra piene...

    Deglutì, scacciando il pensiero successivo. Tutto voleva tranne che il fragile legame che si era appena instaurato tra loro si spezzasse con una mossa avventata. Si avvicinò a lui, tenendo un paio di pizze surgelate in mano.

    “Anche se non siamo a Venice, ti va di mangiare? Io sono affamato.” Chiese, incerto se quelle sue ultime parole non potessero dare adito a doppi sensi imbarazzanti. Bill riaprì gli occhi e, regalandogli un dolce sorriso, acconsentì con un cenno del capo. Tutto sommato gli piaceva esser coccolato dal suo salvatore. Quel suo fare protettivo, schietto e al contempo dolce lo intrigavano da matti. Non ne era certo, ma tutto faceva supporre che Tom fosse gay. Il suo radar aveva improvvisamente ripreso a funzionare e a mandargli impulsi alquanto inverosimili. A dire il vero, non era pratico di pulsioni in genere. David gli aveva portato via anche quelle.

    “Ehi, che ti prende?” Gli chiese il giardiniere, vedendo i suoi occhi incupirsi.

    “Nulla, un brutto pensiero, ma è già passato.” Rispose rimettendosi seduto sullo sgabello. Un lampo seguito dal forte brontolio del tuono fece sussultare leggermente entrambi, mentre il vento faceva sbattere violentemente le ante della finestra l’una contro l’ altra.

    “Meglio che metta al riparo i miei fiori.” Pensò Tom ad alta voce, portando poi all’interno della stanza i vasi che li contenevano e risistemando gli steli che si erano leggermente piegati.

    “Io adoro le rose.” Disse Bill, osservando i movimenti esperti del ragazzo. Mani grandi e così delicate...

    “Anche io le amo, sono uno dei motivi per cui, sin da bambino, non ho avuto alcun dubbio che sarei diventato un giardiniere.” Spiegò Tom, chiudendo la finestra e lasciando il temporale fuori in veranda.

    “Il mio più grande desiderio era sfondare nel campo della musica. Ammetto che all’inizio David ci ha saputo fare davvero ed è stato infinitamente semplice per lui farmi cadere nella sua rete di tentazioni. Quando l’ho incontrato, vivevo in una casa famiglia così priva di mezzi che a stento riuscivano a imbastire il pranzo con la cena per noi ragazzi. Mi svegliavo tutte le mattine alle cinque e andavo a consegnare i giornali e, dopo la scuola, cantavo agli angoli delle strade nella speranza di racimolare qualche spicciolo per comperarmi qualcosa che fosse più nutriente di quella sbobba assurda che ci servivano, spacciandola per minestrone di verdure.” Raccontò il moro con tristezza.

    “Non devi aver avuto un’adolescenza facile.” Affermò Tom partecipe.

    “No. Mi sono ritrovato a tredici anni solo, senza un soldo e sebbene fossi in America da tanto tempo, ero comunque considerato un cittadino straniero. Il consolato ha tentato di rispedirmi in Germania parecchie volte, ma nessuno dei miei parenti si era dichiarato disposto ad accogliermi. Troppo impegnativo accollarsi il figlio adolescente di Jorg Kaulitz. Mio padre era un po’, come dire, la pecora nera della famiglia.” Concluse, con un sospiro.

    Tom deglutì, lottando contro l’impulso di abbracciarlo. La sua adolescenza era stata felice nonostante la perdita prematura del padre, ma poteva ben capire in che triste situazione si fosse venuto a trovare il moro.

    “Immagino che l’arrivo di David sia stato come scorgere la luce in fondo al tunnel...” Riuscì a dire.

    “Già. E inizialmente era stato molto gentile e comprensivo con me. Mi ha portato nella sua casa, mi ha vestito, nutrito e riempito di attenzioni. Chiunque avrebbe pensato di trovarsi nel Paese dei Balocchi.” Si giustificò Bill accennando un sorriso sghembo. Se solo avesse potuto prevedere ciò che sarebbe successo poi.

    Tom tolse le pizze dal microonde e tornò a sedersi di fronte a lui esortandolo a continuare.
    Bill osservò la sua margherita fumante e poi di nuovo il giardiniere.

    “Me la taglieresti a spicchi? Da solo purtroppo non ci riesco.” Chiese mesto, alzando il braccio ingessato.

    “Oh certo! Scusa che sbadato!” Esclamò Tom brandendo coltello e forchetta. Bill lo ringraziò continuando poi a parlare.

    “David ama raccontare la mia storia come fossi una sorta di piccola fiammiferaia. A lui piace rivestire il ruolo di pigmalione e in effetti per i primi tempi è stato sul serio come un padre per me. Fino al giorno in cui ha cominciato a guardarmi con occhio diverso e preteso da me qualcosa in cambio. Non sapevo che fare, come comportarmi. Ribellarsi significava perdere tutto e ammetto di aver avuto una tremenda paura di ciò. Non volevo tornare ad una vita di stenti...” Si interruppe per addentare un pezzo di pizza. Tom rabbrividì al quelle parole espresse in maniera abbastanza impersonale e tristemente rassegnata.

    “Ma non avresti perso tutto! Avevi già pubblicato un disco!” Esclamò con fervore innocente. Il moro sorrise. Tom era stupendo quando si alterava, le guance colorite, lo sguardo truce.

    “Tom, purtroppo le cose non sono mai come noi vorremmo che fossero. Lui era ed è tutt’ora molto potente, inoltre io all’epoca ero minorenne e sotto la sua tutela legale, non avevo via di scampo.”

    “C’è sempre un’ alternativa! Potevi scindere il contratto, rivolgerti a qualcuno che ti potesse aiutare!” Brontolò il ragazzo, battendo il pugno sul tavolo. Bill lo guardò impaurito dalla reazione violenta, ma al contempo commosso. Tom si stava preoccupando per lui e questa era una sensazione meravigliosa. Posò il pezzo di pizza nel piatto e senza curarsi di pulire la mano sporca di pomodoro la posò sulla sua ancora serrata.

    “Ora ne sono consapevole, ma cinque anni fa no purtroppo, così come ora mi sto rendendo conto che ho sempre vissuto con gli occhi chiusi. Non ho mai guardato veramente, ma mi sono sempre limitato a vedere gli eventi che si susseguivano come se non accadessero a me. Ho permesso che David e non solo lui, si appropriasse della mia vita, in cambio di ricchezza, benessere e fama, senza pensare alla voragine che stavo creando dentro di me. Ora come ora sarei propenso a mollare tutto e ricominciare da zero.” Affermò il moro, riprendendo a mangiare. Tom lo guardò in sottecchi. Aveva già compiuto un grande passo in avanti se era consapevole di quella triste verità.

    “Perchè continui a stare con David?” Gli chiese quindi a bruciapelo.

    “E’ il mio manager e finchè non mi libererò di quel senso di gratitudine che nonostante tutto continuo ancora a sentire nei suoi confronti, non credo di avere altra scelta.” Ammise di nuovo triste.

    Un lampo terribile che squarciò le nubi, seguito da un tuono altrettanto forte, fece cadere nel buio totale la casa. Bill si agitò sullo sgabello. Adorava i temporali, ma l’oscurità lo inquietava.

    “Tom?...”

    “Sono qui. E’ saltata la corrente.” Lo informò, anche se era ovvio l’accaduto. Cercò la sua mano alla cieca e trovata, la strinse delicatamente. Girò intorno al tavolo per avvicinarsi a lui. Poteva avvertire il suo respiro leggermente affannato.
    “Non mi dirai che hai paura del buio,” gli sussurrò all’orecchio Tom, prendendolo in giro.

    “Penserai che sono uno stupido…” Sussurrò impotente.

    “Sono tante le cose che penso di te, ma ti assicuro che questa non rientra nell’elenco.” Rispose con il sorriso sulle labbra. Era sicuro di aver un’espressione da ebete dipinta sul volto e quindi ringraziò mentalmente l’oscurità che celava ogni cosa. Bill era a pochi centimetri da lui e il suo profumo lo stordiva. Sarebbe bastato un solo altro passo e…

    La luce ritornò, interrompendo quel momento magico e stampando sul volto del giardiniere un’espressione delusa. Bill espirò l’aria trattenuta nei polmoni fino a quel momento incerto se l’apnea forzata fosse stata causata dal buio o dalla vicinanza di Tom. Le loro mani, quasi dimenticate, erano ancora intrecciate.

    “Grazie Tom…” Sussurrò il moro, arrossendo leggermente e liberando la mano, ma solo per posarla sulla sua guancia.

    “Che c’è?” Chiese l'altro incuriosito dall’improvvisa carezza.

    “Pomodoro.” Rispose, mostrandogli l’indice sporco e sorridendo malizioso.

    “Terminiamo la nostra pizza?” Propose poi rimettendosi a tavola.

    “Eh? Ok.” Borbottò in risposta Tom, confuso più che mai. La sua sola vicinanza era sufficiente a mandarlo in confusione totale, non osava neppure pensare a quanto sarebbe successo se…

    ***



    La cena era terminata e i piatti erano stati messi nella lavastoviglie. Bill era ora seduto sull’ampio divano con il braccio ingessato posato su due cuscini per farlo riposare, tenendo lo sguardo fisso, leggermente velato dalla commozione sul televisore.
    Autumn in New York era uno dei suoi film preferiti ed era sicuro che Tom non lo avesse scelto a caso. Era risaputo da chiunque quanto lui amasse i film romantici e doveva ammettere che tra tanti, quello era uno dei pochi che lo emozionava in egual modo ogni volta che lo rivedeva.
    Rannicchiò le gambe contro il petto e posò il mento sulle proprie ginocchia come a volersi proteggere dallo sguardo del giardiniere che, seduto accanto a lui, continuava a osservarlo da quando aveva tirato su con il naso umido di lacrime. Poteva percepire il calore del suo corpo a pochi millimetri dal proprio, il suo respiro, il suo profumo…
    Sospirò, mordendosi un’unghia e cercando di apparire forte. Il momento era cruciale e Charlotte, la protagonista del film, stava morendo.

    “Fallo.” Disse all’improvviso Tom, distraendolo dalla scena altamente drammatica.

    “Cosa?” Domandò il moro non capendo.

    “Molla tutto e ricomincia da zero…” Rispose avvicinandosi ulteriormente a lui.

    Bill lo guardò serio cercando di decifrare l’espressione del suo volto alla fioca luce della lampada posta in un angolo, mentre due grosse lacrime non richieste, -che prontamente Tom gli asciugò con i pollici-, gli solcavano le guance.

    “Non è affatto facile.” Soffiò roco.

    “Ma non è impossibile e io sono qui per aiutarti, se mi permetterai di farlo.” Sussurrò sulla sua bocca.

    Bill tremò, in quelle parole c’era un ricordo recente che gli fece ulteriormente accelerare i battiti del proprio cuore. Possibile che Tom fosse il mittente di quei mazzi di rose? Indugiò sulle sue labbra prima di sfiorarle con un bacio leggero per poi accoccolarsi sul suo petto, stupito dalla sua stessa audacia.

    Tom sorrise, abbracciandolo. Non era certo che il suo cuore potesse reggere ad un’emozione del genere, ma nel frattempo decise, in attesa del colpo letale, di godersi la sua vicinanza.


    ***




    Il telefono squillò nella guardiola degli infermieri e Martin rispose precedendo Alex. Era già molto tardi chi poteva esser a quell’ora?

    “Sono David Jost vorrei parlare con Bill Kaulitz, al cellulare non risponde ed è una questione piuttosto urgente.” Esordì il manager, senza nemmeno salutare.

    “Mi dispiace, ma non è possibile.” Rispose piatto l’infermiere.

    “Prima le visite e ora anche le telefonate! Vada a dire a Bill di accendere il telefono almeno!”

    “Le ripeto, non è possibile parlare con il signor Kaulitz perchè non è qui. E’ stato dimesso qualche ora fa.”

    “Come dimesso?! Chi è stato quell’idiota che gli ha dato il permesso di uscire?”

    “Il professor Harris, vuole il suo numero?” Commentò sarcastico. Doveva ammettere che quel manager arrogante e spocchioso gli stava urtando i nervi alla grande. Non che Kaulitz gli fosse stato molto simpatico, ma non doveva esser una passeggiata aver accanto un tipo del genere ogni santo giorno.

    Il click antipatico della linea interrotta, fu la risposta ricevuta.

    “Buonanotte signor Jost, spero che la tua gallinella vada a deporre le sue uova d’oro altrove.” Esclamò l’uomo rivolgendosi alla cornetta del telefono.

    Alex che aveva assistito alla chiamata, guardò il collega incerta e si augurò che Bill, ovunque fosse, si trovasse in un posto sicuro.

    ***



    Tom osservava il volto rilassato di Bill che giaceva addormentato sul suo grembo. Aveva ceduto praticamente subito al sonno, cullato dalle sue tenere carezze, finalmente sereno. Nessuno dei due aveva più parlato dopo quel fugace contatto, limitandosi ad ascoltare i messaggi silenti dei rispettivi cuori.

    Avrebbe voluto gridare per la felicità, ma era consapevole di quanto fosse prematuro cantar vittoria.

    Accarezzò piano il volto del cantante e si chinò su di lui per baciare nuovamente quelle labbra vermiglie, prima di spostarsi e posare il capo di Bill su di un cuscino. Il moro si mosse, sorrise, ma continuò a dormire.

    “Ok Bill, vedrò di riposarmi anche io, allora…” Sussurrò, cercando di stendersi alla meglio accanto a lui. Avrebbe potuto anche andare nella sua stanza, ma per nulla al mondo si sarebbe privato della sua presenza.


    NDA: Ce l' ho fatta! Odio non rispettare le scadenze, quindi sono contenta di esser riuscita a postare in tempo.
    Piccola premessa: Il capitolo è volutamente lento, i nostri due protagonisti stanno facendo conoscenza ed è giusto che si prendano il tempo necessario.

    Edited by *billaly* - 23/12/2010, 00:17
     
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  15. Mondlicht
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    Il capitolo

    Beh, che dire... Finalmente Bill inizia ad aprirsi, o almeno così sembra. Spero che gli eventi futuri non rappresentino un ostacolo per il suo riscatto e la sua corsa verso la libertà! Tom è al suo fianco. E devo ammettere che questo Tom mi piace molto, sotto numerosi punti di vista: per esempio, non ha paura di mettersi a nudo di fronte a Bill, di mostrargli le proprie debolezze, di mostrargli chi è veramente. Non teme di parlargli nemmeno di fatti dolorosi che lo hanno segnato in passato. Bill ascolta. Riflette. Elabora. E in un modo o nell'altro, comincia a intravedere nel suo salvatore non soltanto il suo salvatore, ma una persona diversa, qualcuno su cui contare. Nimm meine Hand, wir fangen nochmal an: prendi la mia mano e ricominciamo. Senza mezzi termini, Tom glielo dice. Ribellati, Bill. Riprendi a vivere. Ricomincia da zero. Sarà difficile, ma io sarò con te, se mi vorrai. E sarò io a proteggerti da tutto quel mondo là fuori.
     
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