Angels don't fly

Finita

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  1. NeideLunare
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    La mia socia deve betarmi il capitolo, quindi presumo posterò domani sera sul tardi.
     
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  3. Capricorn2187
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  4. PinaKaulitz88
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  5. NeideLunare
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    Ti ho mandato l'email <3
     
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  6. vam zimmer 483
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    Oddio uuuuuuuuuuup
     
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  7. Mondlicht
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  8. barby's
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  9. •Babsi
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    chap!
     
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    Capitolo 7



    Quando la vita ti dà mille ragioni per piangere,
    dimostra che hai mille ed una ragione per sorridere.
    Benite Costa Rodriguez



    La chiamata di Soleman si era rivelata fondamentale. Non solo l’uomo era stato gentile con lui come sempre, ma aveva addirittura espresso la sua disponibilità ad aiutarlo. Parlando con lui, Bill si era reso conto che molte delle cose che quotidianamente lo circondavano, in realtà erano a lui totalmente sconosciute. Le clausole, le postille su ogni foglio da lui firmato erano il più delle volte state ignorate, scritte così in piccolo da far venire l’emicrania e considerate così prive di importanza ad un occhio disattento come il suo, troppo impegnato a cantare e a compiacere il suo manager.

    Un fatto era chiaro. Aveva ventuno anni e quindi era libero di decidere per se stesso.
    Doveva scoprire il piano architettato così bene da David da tenerlo in pugno.
    Era stato veramente uno stupido a fidarsi totalmente di lui, così cieco da non comprendere quanto lo stesse manipolando a suo vantaggio.

    Battè il pugno sul materasso in un moto di stizza, mentre un dolore lancinante lo colpiva alla bocca dello stomaco. Sentiva il bisogno impellente di uscire da quella stanza, come se le pareti bianche si stessero stringendo attorno a lui in una morsa.

    “Mi verrà anche l’ulcera!” Brontolò, massaggiandosi la parte dolorante. Le parole di Soleman gli turbinavano in testa come tante piccole schegge impazzite.

    “E’ probabile che lui si avvalga ancora di un vecchio contratto, stipulato all’epoca della tua custodia. Gli accordi di rappresentanza, nei quali tu dai carta bianca al tuo manager, con la possibilità di prendere decisioni professionali al posto tuo, possono durare anche decenni, ma non hanno nulla a che vedere con la tutela della tua persona. Tu sei un ragazzo libero, Bill.” Gli aveva detto Paul, cercando di esser il più chiaro ed esauriente possibile. La sua laurea in giurisprudenza, anche se non esercitava come avvocato, si era rivelata preziosa in molti casi e lo aveva aiutato in altrettanti ad evitare passi falsi.

    Nel loro ambiente non era infrequente andare a dormire ricchi e svegliarsi con le pezze al sedere. Aveva visto molti colleghi e artisti rovinarsi per denaro, flop discografici, arene semivuote e quant’altro. Lui si era sempre definito un oculato, attento agli investimenti e mai troppo avventato. Bill era l’artista più noto che si era affidato alla sua agenzia e sapeva che con il suo talento avrebbe riempito le sale come le sue casse ancora per molto tempo, ma non era certo quello il suo obiettivo. Provava una sorta di senso di protezione verso quel ragazzo efebico, nelle mani di un manager dispotico ed arrogante a cui avrebbe fatto ingoiare volentieri gli incisivi. Il solo pensiero che quei due fossero legati oltre che da un vincolo professionale, anche da uno affettivo, gli faceva salire il sangue alla testa.
    Avrebbe aiutato Bill per quanto gli era possibile. Si meritava una vita migliore e dopo gli ultimi risvolti infelici ancora di più.

    ***



    Il professor Harris bussò leggero alla porta del moro. La conversazione telefonica appena conclusa con l’ Ispettore Norman e la dottoressa Ortega, non aveva lasciato ombra di dubbio. Bill aveva tentato di togliersi la vita, ma in lui, Angela non aveva trovato traccia di malattie psichiatriche latenti, solo una grande insoddisfazione di fondo e un’incertezza verso un futuro che si prospettava ai suoi occhi tutt’altro che roseo.
    Certo non lo avrebbero abbandonato al proprio destino, ma nemmeno internato in una di quelle cliniche per vip, da dove difficilmente si usciva con propositi positivi verso la vita.

    Avanti!” Esclamò Bill dall’interno.

    Il medico entrò e si diresse immediatamente ai piedi del letto.

    “Signor Kaulitz come si sente? Ho visto le radiografie e sono molto felice di poter constatare che la prognosi è ancora migliore di quella che avevamo formulato. Potremmo già dimetterla a partire da domattina.” Lo informò, sorridendo.

    “Grazie, il dottor Matthew mi aveva già accennato qualcosa…” Rispose lui distratto. In effetti il suo stato di salute non era la sua prima preoccupazione in quel preciso momento. Piuttosto era la parola dimissione che stava attirando la sua attenzione.

    Fuori da lì, subito.

    “Professore, sarebbe possibile esser dimesso stasera stessa?” Chiese speranzoso.

    “Signor Kaulitz, perché ha tutta questa fretta? Non possiamo certo trattenerla se lei non desidera rimanere, ma ormai è sera, e una notte in più in ospedale non farà poi chissà che differenza!” Esclamò sospettoso il medico.

    “Ho bisogno di uscire, di vivere per qualche ora come una persona normale. Le prometto che starò attento e non mi avvicinerò al molo di Venice Beach.” Disse Bill, cercando di sembrare convincente.

    “La capisco. Per voi artisti esser sottopressione è consuetudine, neppure qui l’hanno lasciata in pace. Va bene, dirò al Medico di Guardia di preparare i suoi documenti. Se non sono indiscreto, pensa di tornare subito a casa? Il suo manager ne sarà felice, ma non credo sia nelle sue intenzioni.” Chiese infine accennando un sorriso. Era fin troppo evidente che avesse in mente ben altro.

    “Non ci penso proprio. Prenderò una stanza in un anonimo motel e passerò la notte a sgranocchiare pop corn davanti alla payTV. Oppure cercherò di mimetizzarmi tra la folla sull’ Ocean Front Walk, anche se dubito passerei inosservato con i pattini ai piedi e un braccio ingessato.” Affermò il moro, ricambiando il sorriso. “Ho bisogno di staccare la spina per dodici ore e pensare a come dovrò comportarmi da domani. Ci sono parecchie questioni che devo risolvere e stare qui in ospedale, quasi protetto dal mondo esterno, non mi aiuta.” Concluse alzandosi dal letto.

    “Ok, ma cerchi di riguardarsi. Ha ancora i punti di sutura e il suo braccio deve stare in scarico e a riposo. Le farò prescrivere un antidolorifico al bisogno e una visita di controllo tra una settimana. Le faccio i miei migliori auguri e non esiti a chiamarmi, se dovesse essere in difficoltà.”

    “Lei è molto gentile.” Rispose Bill, ringraziandolo poi per la sua disponibilità, mentre questi si congedava. Non avrebbe mai smesso di stupirsi per la premura che perfetti sconosciuti avevano rivolto alla sua persona. Cominciava a pensare che non fosse solo per la loro professione, non era certo possibile fingere una così alta dose di generosità nei confronti del prossimo se questo sentimento non fosse stato radicato nel profondo del cuore. Dunque la bontà d’animo esisteva realmente e si sentì improvvisamente gratificato dal pensiero di averne incontrata così tanta in un così breve lasso di tempo. Probabilmente il recente evento gli aveva, in un qualche modo, aperto gli occhi ed immediatamente il suo pensiero venne rivolto al suo salvatore.
    Forse era stato troppo duro nei confronti di Trumper. In effetti non sapeva nulla di lui, né di come vivesse, né che persona fosse. Lo aveva considerato da subito un nemico, colui che aveva impedito che il suo piano suicida andasse a buon fine.
    La bomba non era esplosa, ma rimaneva ancora innescata dentro di lui. Per quanto tempo avrebbe ancora potuto resistere?

    Aprì l’armadio ed estrasse il borsone con i propri effetti personali. Ringraziò mentalmente Madison per avergli portato occhiali, un ampio foulard, una tuta e un paio di scarpe comode. Non aveva bisogno di altro se non di un cappellino per completare la mimetizzazione, che purtroppo però non c’era. Si vestì, cercando poi di raccogliere i capelli in una coda bassa, impresa assai ardua, visto l’impedimento rappresentato dal gesso.

    Forse Vanessa o Claire avrebbero potuto aiutarlo.

    Andò in corridoio e si diresse verso l’infermeria. Sentì le ragazze discutere animatamente e poi ridere ad una battuta di una di queste. Fece capolino oltre la porta, rivelando la sua presenza alle due che rivolsero a lui un grande sorriso.

    “Ehi, che ci fa qui il Signorino Bill?” Domandò Claire.

    “Ehm, chi di voi due potrebbe aiutarmi a fare la coda? Da solo non ci riesco…” Affermò triste, indicando il braccio infortunato.

    “Vieni. Ce l’hai un elastico?” Chiese Vanessa, scostando la sedia dal tavolo. Bill gli porse l’oggetto in questione e si sedette davanti a lei porgendole anche la spazzola. Si lasciò cullare dal modo leggero che lei aveva di lisciare i suoi lunghi capelli, come fosse una carezza. Anche sua madre amava pettinarlo… Si stupì di quel ricordo salito improvvisamente alla sua mente, non pensava spesso alla sua defunta genitrice, a quella donna che l’aveva partorito e lasciato in balia della sua vita, troppo presto. Per anni aveva odiato sua madre, quasi colpevole di averlo volutamente abbandonato al proprio destino. Sette anni erano troppo pochi per capire che le malattie dall’infausta prognosi facevano intraprendere un viaggio spesso di sola andata.

    “Il Professor Harris ci ha comunicato che verrai dimesso stasera stessa.” Cominciò l'infermiera.

    “Ed è per questo motivo che ridevate così di gusto?” Chiese lui incerto.

    “Beh, non proprio per questo, ma indirettamente c’entravi tu. Stavamo dicendo che Martin questa sera sarà dispiaciuto di non aver nessuno su cui infierire, se te ne vai!” Spiegò Claire, di fronte a lui.

    “Già, non gli sono molto simpatico, vero?” Affermò triste.

    “Diciamo che non gli sta simpatico nessuno che sia di sesso maschile, al di sotto dei trent’anni e che faccia musica, da quando sua figlia se ne è andata di casa per andare a vivere on the road con il batterista di un gruppo punk dal destino incerto.” Raccontò Vanessa.

    “Niente di personale quindi,” continuò la ragazza. “Ecco, la tua coda è perfetta ora!” Aggiunse infine, sporgendosi in avanti per osservare il volto del moro, che le sorrise dolcemente.

    “Grazie Vanessa…” Sussurrò lui al suo orecchio, prima di alzarsi.

    “Ehi, ma ho… ho pettinato Bill Kaulitz!!” Esclamò lei con voce stridula, prendendo le mani della collega, mentre saltellava sul posto fingendo una crisi isterica.

    “Che scema che sei!” La apostrofò Bill, sentendosi preso in giro. Quelle ragazze però avevano il potere di metterlo di buon umore e di colorare il grigiore che abitualmente lo circondava. Gli dispiaceva andarsene da quell’ ospedale in fondo.

    Il medico di guardia entrò in guardiola, interrompendo i loro frivoli discorsi, “Ah, signor Kaulitz è qui, la stavo appunto cercando. Ecco, questa è la sua lettera di dimissione, qui troverà tutte le istruzioni per proseguire la terapia a domicilio e i numeri di telefono utili nel caso dovessero esserci dei problemi. Mi raccomando si astenga da ogni tipo di sforzo fisico e torni giovedì prossimo per la visita di controllo.” Illustrò tutto d'un fiato.

    Bill scorse il foglio velocemente, ripromettendosi di leggere il tutto con calma poi. Non c’era nulla da firmare in quel caso.

    “Grazie dottor…”

    “…Mills,” si presentò lui, sorridendo timidamente.

    “Grazie dottor Mills.” Ripetè il moro per intero.

    Il medico si congedò ed uscì dalla stanza. La risatina nervosa di Vanessa ruppe il silenzio del momento, rivolgendo uno sguardo infuocato alla collega che gesticolava, prendendola spudoratamente in giro.

    “Smettila stupida!” Inveì contro di lei, rossa in volto, suscitando la curiosità di Bill che guardò entrambe interrogativo.

    “Vanessa è pazzamente innamorata dell’ inappuntabile ed inarrivabile dottor Edward John Mills!” Rivelò Claire senza indugi al ragazzo.

    “Ti ha mai detto nessuno che sei una stronza?” La apostrofò l’amica, afflosciandosi sulla sedia.

    “Trovo sia meraviglioso esser innamorati!” Esclamò Bill rianimandosi.

    “Uh, come no, soprattutto se la controparte non ti considera minimamente!” Brontolò Vanessa sconsolata, scuotendo il capo.

    “Solo perché non sa che ragazza stupenda sei!” Rispose il moro, invitandola ad alzarsi. Le guance di entrambi si tinsero di rosa acceso. Le une per il complemento ricevuto, le altre per l’affermazione insolita appena fatta.

    “Grazie Bill, sei così dolce…” Borbottò emozionata, abbracciandolo istintivamente. Non era da tutti i giorni ricevere un tale complimento e soprattutto da una popstar di fama internazionale, ma in quel momento non vi era traccia di Bill Kaulitz in quella stanza. Lui probabilmente era sul serio annegato nelle acque dell’oceano.

    Con questa nuova consapevolezza, si salutarono con la promessa di mantenersi in contatto. Il moro si sentiva stranamente leggero. Si aggiustò sulla testa il cappellino dei Los Angeles Lakers, dono di Kobe Bryant a Claire, la quale non aveva esitato un istante a darlo al moro perché potesse nascondersi meglio, e si infilò nel taxi che l’attendeva all’ingresso secondario.

    Decise in quel momento la sua destinazione, contravvenendo alla promessa fatta, doveva tornare in quel luogo.

    “A Venice Beach, per favore.”

    ***



    Tom parcheggiò l’auto e con passo deciso si diresse verso l’ingresso principale del Cedars. Non aveva idea di cosa avrebbe detto a Bill, ma era comunque certo che dovessero ricominciare da capo. Non poteva sopportare che il moro nutrisse rancore nei suoi confronti, né tanto meno che lo considerasse un opportunista. Avrebbe dovuto ascoltarlo volente o nolente, sentire le sue ragioni, capire il suo gesto, altruistico e disinteressato. La vita prima di tutto, era così difficile da comprendere?

    Varcò la porta del reparto e fu immediatamente fermato dall’addetto alla sorveglianza. Anche se Kaulitz era ormai stato dimesso e non c’era più il pericolo di ricevere visite inaspettate da parte del suo manager, la guardia era decisa a compiere il suo dovere nei migliore dei modi.

    “Non è orario di visita questo, dove sta andando?” Chiese con fermezza.

    “Devo recarmi da Bill Kaulitz.” Aveva detto, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.

    “Non è più qui, mi dispiace.”

    “Ma… Come non è più qui? E’ stato trasferito?!” Domandò allarmato.

    “No, dimesso.” Rispose, consultando la lista dei pazienti.

    “Ah, grazie…” Soffiò sollevato. Il portatile dell’uomo squillò, la voce allegra di Claire che dal monitor della guardiola osservava l’ingresso, diede ordine alla guardia di fare entrare l’amico.
    L’ uomo gli fece cenno di passare, e immediatamente Tom si diresse verso Claire che l’attendeva in corridoio.

    “Ciao Tom, che ci fai qui senza fiori da consegnare?” Chiese con un sorriso, che subito si smorzò, notando l’espressione accigliata del ragazzo.

    “Dov’è Bill?” Chiese a sua volta, leggermente in ansia.

    “E’ stato dimesso, è appena andato via…” aveva risposto lei, dispiaciuta.

    Dannazione questa non ci voleva. Non quando aveva raccolto il coraggio di parlare seriamente con lui. Imprecò a bassa voce sbuffando, passandosi una mano sulla fronte.

    “Non credo sia tornato a casa, almeno non dava l’impressione di aver fretta di andarci, se questo può esserti d’aiuto.” Continuò la ragazza, intuendo la natura dei suoi pensieri.

    Le possibilità erano molteplici, ma non erano tanti i posti sicuri dove una popstar poteva passeggiare indisturbata. Salutò in fretta l’infermiera e velocemente ritornò sui suoi passi. Se il suo sesto senso non lo ingannava, molto probabilmente sapeva dove era diretto. Il vantaggio che aveva su di lui non era molto e se il traffico della sera non lo bloccava in Robertson Boulevard sarebbe arrivato a destinazione in meno di mezz’ora.

    Bill scese dal taxi e si diresse immediatamente verso la spiaggia. Il sole ad ovest sebbene parzialmente oscurato da rapide nubi che correvano nel cielo, tingeva dove era possibile ogni cosa di rosso, e le ombre si allungano sulla sabbia dorata. Il pontile poco distante sembrava in quel momento così innocuo. Gli scogli appuntiti sotto di lui erano nascosti dall’alta marea.
    Un brivido di freddo gli percorse la schiena, mentre tentava di rammentare gli eventi di quel mattino da poco tempo trascorso. La sua mente sembrava rifiutare il ricordo di quei tragici momenti, mentre il cuore batteva rapido nel suo petto. Lentamente le sue gambe si mossero verso quel luogo, guidate da una forza indipendente dalla sua volontà. Come se una parte di lui si stesse staccando dal proprio corpo per proseguire un cammino che non poteva impedire.

    Si fermò al termine del molo e come ipnotizzato osservò le onde sbattere con violenza contro la roccia, provando un senso di disagio profondo alla vista di quell’acqua che inghiottiva ogni cosa intorno e sé e diventava ogni secondo più scura al calar della sera. Rimase per un tempo indefinito immobile, in piedi su quel pontile, incapace di formulare un pensiero logico, di dare una spiegazione plausibile al momento di coraggiosa follia che l’aveva indotto a tentare di togliersi la vita. Lui non voleva morire, ora lo sapeva e nonostante questa nuova consapevolezza lo riempisse, da un lato, di gioia, dall’altro non trovava via d’uscita alla sua situazione. Sentiva di esser pronto a grandi rinunce pur di poter riacquistare la propria indipendenza, ma altresì si rendeva conto che non sarebbe stato assolutamente facile liberarsi di David.

    Tom fermò l’auto non appena scorse in lontananza una figura sul molo. La ormai poca visibilità non gli consentiva di riconoscere con certezza Bill nella sagoma che si stagliava contro l’ orizzonte bruno, ma decise comunque di tentare. Il suo cuore batteva impazzito come a segnalargli che la meta era vicina. Scese dal fuoristrada e a passo spedito andò verso il pontile che di tanto in tanto veniva schizzato dai flutti. Il tempo stava cambiando e il mare ingrossandosi, la brezza si stava trasformandosi in un vento fin troppo freddo per la stagione in corso.

    Bill ora era di spalle a pochi passi da lui, così assorto nei suoi pensieri da non accorgersi del mondo circostante. Ed era terribilmente vicino al limitare del pontile.

    Tom sentì il sangue refluire nelle vene, mentre tentava di scacciare quel nefasto presagio.

    “Kaulitz non credo di aver voglia di tuffarmi nuovamente per salvarti.” Esclamò, facendolo sussultare spaventosamente. Un piede fluttuò nel vuoto e la mano di Tom artigliò il suo braccio sano, tirandolo verso di sé in un maldestro abbraccio.

    Bill si scostò immediatamente da lui come colpito da una scossa elettrica. La sua presa sul braccio bruciava come fuoco nonostante i vestiti.

    “Lasciami!” Bofonchiò con voce roca, cercando di liberarsi. Il giardiniere obbedì mollando la presa. Era sicuro di avergli fatto anche male, ma la sua improvvisa perdita di equilibrio aveva fatto scattare in lui un immediato senso di protezione.

    “Scusa… Non volevo spaventarti.” Borbottò mesto. Bel modo di ricominciare! Ora il moro si sarebbe incazzato nuovamente e addio discorso!

    “Non mi hai…spaventato, solo che non mi aspettavo di trovarti qui, ecco.” Rispose Bill incerto.

    “L’assassino torna sempre sul luogo del delitto, prima o poi.” Tentò di scherzare Tom, abbozzando un sorriso. Sembrava tranquillo nonostante tutto, forse poteva ancora sperare.

    “Come facevi a sapere che sarei tornato qui stasera?” Chiese finalmente, guardandolo negli occhi.

    “Sono passato in ospedale e Claire mi ha detto che eri stato dimesso e con molta probabilità non eri diretto verso casa. Ho pensato quindi di venirti a cercare partendo da Venice e da questo maledetto molo.” Spiegò.

    “Perché mi stavi cercando?” Incalzò.

    “Bill, io… io credo che dovremo parlare, non lo pensi anche tu?”

    “Non abbiamo granchè da dirci, mi sembra. E se sei ancora alla ricerca di un ringraziamento solenne, eccoti servito: Grazie Thomas per avermi salvato la vita.” Disse, leggermente scocciato.

    “Neppure mia madre mi chiama con il mio nome di battesimo. E ti ripeto che non so che farmene dei tuoi ringraziamenti. Inutile che ti nascondi dietro un filo d’erba, sappiamo benissimo entrambi che non è stato un incidente.” Ribattè, ora leggermente infastidito anche lui.

    “Che differenza fa per te? Sei comunque l'eroe del giorno!” L’ apostrofò ironico.

    “Fa differenza, almeno per me. E sarei dannatamente felice se il mio gesto non fosse interpretato da te come un modo per cercare fama e notorietà. Evidentemente tra i due sono l’unico convinto che la tua vita abbia valore.”

    “Che ne sai tu della mia vita? Io non sono quel Bill Kaulitz che tutti leggono sulle riviste di gossip. Non sono quel ragazzo baciato dalla fortuna che tutti invidiano. Tu non hai nemmeno lontanamente idea di quello che in verità è la mia esistenza!” Sbottò, rosso in volto. I lampioni rischiaravano l’aria, Tom poteva vedere l’espressione addolorata sul suo viso. Non desiderava farlo arrabbiare, ma tutto sembrava remargli contro.

    “Io non so nulla della tua vita, come tu non conosci la mia. Tutti dobbiamo affrontare delle prove difficili che sembrano insormontabili, ma non è con la morte che si fugge dai problemi. Bill io ti posso capire, però non comprenderò mai il tuo gesto da codardo.”

    “Vaffanculo Trumper! Tu non sai un cazzo di cosa vuol dire vivere un sogno che ogni giorno si sgretola sempre di più nelle tue stesse mani. Tu non sai cosa vuol dire vivere di successo e aver solo voglia di vomitare. Tu non sai cosa significa dover sorridere, quando in realtà non c’è nessun motivo per farlo!” Gridò nel vento che aveva preso a soffiare forte. “Ho il mondo ai miei piedi, ma non posseggo nulla. Neppure me stesso.” Continuò poi, come svuotato. Non sapeva neppure perché stesse rivelando questi particolari così personali ad uno sconosciuto, ma sentiva di esser un fiume in piena. Sfogarsi gli faceva bene, avvertiva il dolore lasciare il proprio corpo, per lasciar spazio ad un benefico vuoto che attendeva di esser colmato.

    Tom lo osservava in silenzio. I suoi occhi gianduia erano lucidi, le labbra piene incurvate in una smorfia triste. Combattè con il desiderio irrefrenabile di stringerlo a sé e cullarlo in un tenero abbraccio e contro l’istinto omicida nei confronti di quella persona orribile che gli aveva rovinato l’esistenza. Non era necessario che lui facesse nomi per capire di chi fosse opera lo scempio di cui stava parlando. Certo era che prima o poi avrebbe dovuto pagare per tutto il male che gli aveva procurato e lui avrebbe fatto in modo che il prezzo fosse altissimo.

    Si avvicinò ulteriormente a lui e gli asciugò con il pollice una piccola lacrima che come una stella luminosissima, brillava all’angolo dell’occhio destro. Questa volta il moro non si scostò, anzi chiuse gli occhi a quel leggero contatto come a volersi godere il momento.

    “Hai un posto dove stare questa notte?” Gli chiese protettivo. Bill riaprì gli occhi, scuotendo il capo.

    “Pensavo di prendere una stanza in un motel. Ho bisogno di vivere per un pò come una persona normale...” Rispose piano.

    “Potresti venire a casa mia, che ne dici? Io sono abbastanza normale e anche la mia casa lo è, con piatti da lavare nel lavello e letto sfatto da tre giorni.” Buttò lì speranzoso. Il cantante lo guardò con sospetto, ma poi le sue labbra si aprirono in un sorriso dolce.

    “Tu non molli mai, vero Trumper?” Affermò, certo che non avrebbe accettato un no come risposta.

    “Mai, se ne vale la pena.” Rispose risoluto.

    “E io ne valgo la pena?” Chiese ancora.

    “Non lo so, non ti conosco, ma sappi che se ti rivelerai un flop, ti ucciderò con le mie stesse mani.” Scherzò, raccogliendo la sua borsa da terra ed incamminandosi verso la propria auto.

    Bill lo seguì docilmente, sorridendo tra sé.

    Forse un ringraziamento solenne lo meritava sul serio...
     
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  11. •Babsi
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  13. Mondlicht
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    WOW. Bill che torna a Venice Beach (recidivo il ragazzo...). Tom che si precipita a Venice Beach non appena lascia l'ospedale. Semplice telepatia? Bill sta iniziando a districare i nodi e i grovigli che caratterizzano la sua esistenza. Soleman gli ha ridato un po' di speranza, Tom lo affronta a muso duro e Bill, benché involontariamente, si ritrova a fare outing, regalando al vento il suo dolore e le sue sofferenze. Resta il vuoto. Resta il freddo. Resta la consapevolezza di non avere nulla e di non aver mai vissuto fino a quel momento. Nasce la volontà di vivere e di tornare a vedere la vita a colori.
     
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    DOBBINA ''FONDATRICE ''ADULTE MALATE DI TOKIOHOTELLITE''

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    bello, bello il capitolo. Scusa mi ero persa anche l'altro, ma ho milioni di cose da fare ultimamente.
    Sono contenta che Bill si sia reso conto che il suo gesto è stato troppo avventato e che invece Tom non ha potuto resistere, nel volersi chiarire con Bill.
    Bill cerca un momento per respirare...per avere un minimo di normalità ,per potersi leggere dentro e ritrovarsi, per poter fronteggiare il suo avvenire.
    non vedo l'ora di leggere il prossimo chappy. un bacione Ale
     
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  15. Capricorn2187
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    Finalmente Bill stà tirando fuori i cosiddetti xD non voglio scendere nel volgare u.u
    E ha anche "cambiato opinione su Tom,deve solo capire che grazie al gesto di Tom è nata una seconda oppotunità di rivincità nei confronti della sua vita e nei confronti di David.
     
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