Forever is a long time.

In fase di scrittura.

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    Autore: Stella;
    Rating: R
    Genere: Angst,Romance
    Avvisi: nessuno.
    Disclaimer: Fanfiction puramente inventata a scopo di intrattenimento, nomi o cose citate sono puramente casuali.
    Introduzione:Per Camilla cambiare città,amici,scuola e abitudini non è una cosa facile, ma affrontare da sola la morte di entrambi i suoi genitori di certo non regge il paragone.
    Dal giorno dell’incidente dentro di lei vige il vuoto assoluto;nessun legame, nessun rapporto,nessuna emozione. L’apatia più totale.
    E’ proprio questo il motivo che spinge i suoi “zii” ad accoglierla con loro, nonostante la ragazza fosse già maggiorenne.
    Una nuova vita, un nuovo inizio. Ma le difficoltà di certo non si fanno aspettare.




    Capitolo I
    Un ottimo inizio.

    Il viaggio in auto da Roma a Milano era durato piuttosto poco, dormii durante tutto il tragitto. Era passato un mese esatto dal giorno di quel maledetto incidente d’auto e ancora la notte non riuscivo a dormire, soppressa dal peso dei ricordi che mi toglievano il respiro e mi facevano piangere incessantemente.
    Non avevo nient’altro al mondo che i miei genitori, la mia famiglia, eppure il destino aveva deciso che avrei dovuto vivere da sola il resto della mia esistenza.
    I miei zii erano brave persone, questo era più che sicuro. Non li conoscevo molto bene dato che non venivano a Roma da due anni.In realtà non erano effettivamente imparentati con me, ma secondo mio padre era come se lo fossero. I miei genitori e loro erano molto amici sin dai tempi del liceo. Carla era una donna sulla quarantina che si era sposata troppo giovane e che viveva la sua vita per i suoi figli e per la casa. Non lavorava, non l’aveva mai fatto. In fondo non era necessario se suo marito era un importante avvocato in città.
    I loro due figli, Manuel e Andrea, erano abbastanza simpatici, nonostante il fatto che la nostra ultima conversazione era incentrata sul tempo atmosferico, era della durata di meno di cinque minuti, e soprattutto era avvenuta due anni fa.
    Manuel aveva sedici anni, era il più piccolo tra i fratelli. Lo ricordavo alto e magrolino, con un carattere spiccato ed esuberante. Andrea invece aveva la mia età e di certo non somigliava al fratello minore.
    Era più pacato e stava sempre per i fatti suoi, il suo unico interesse sembrava essere la musica.
    Quando arrivai Carla ed Edoardo mi accolsero a braccia aperte, dimostrandosi felici di poter dare una mano alla figlia dei loro amici defunti.
    -Ma quanto sei cresciuta in questi anni! Diventi sempre più bella o è una mia impressione?-Esordì Carla dopo avermi dato un caloroso abbraccio. Increspai le labbra in un lieve sorriso, arrossendo lievemente sulle gote.
    Edoardo, il marito, era un bell’uomo poco più grande della moglie. Mi aiutò con le valigie portandole dentro casa ed entrambi mi invitarono ad accomodarmi.
    Fuori il sole splendeva e la giornata era davvero delle migliori.
    Sul divano in salotto vi era un ragazzino moro con dei grandi occhi verdi che guardava la televisione. Non appena la madre chiamò il suo nome, Manuel si voltò lanciandomi un’occhiata.
    -Lei è Camilla,ti ricordi giusto?-Chiese, con un tono accigliato.
    -Si, ricordo..-Rispose il ragazzino, alzandosi dal suo posto con poca voglia e venendomi incontro così da potermi porgere la mano. La strinsi non troppo convinta e sorrisi anche a lui.
    Non era felicissimo di vedermi, di questo ero sicura. In fondo avere un’altra donna in casa non doveva essere per loro una cosa divertente.
    -Seguimi, ti mostro la tua stanza e il resto della casa.-Continuò la donna, con una dolce espressione.
    Nei cinque minuti seguenti mi mostrò l’intera abitazione. Era una casa grande con tre piani.
    Al pian terreno vi era una cucina enorme in stile moderno, un piccolo bagno e un salotto dotato di divani e televisione al plasma. Al piano superiore vi erano le camere da letto e un secondo bagno.
    Le camere erano tre. Prima del mio arrivo la mia stanza doveva appartenere a uno dei due fratelli, che adesso si trovarono costretti a dividere l’altra.
    Il terzo piano era una soffitta spaziosa e quasi del tutto vuota, a parte un divano che troneggiava al centro e qualche vecchio scatolone.
    Quando entrai nella mia camera notai che era stata modificata apposta per me.
    Il letto era al centro della stanza e le lenzuola erano viola, un colore decisamente femminile.
    La scrivania in legno era poggiata alla parete e sopra vi era un computer portatile di ultima generazione.
    A sinistra vi era un armadio bianco con delle incisioni color panna. Trovai tutto davvero grazioso e gradevole, era una strana sensazione. Mi sentivo a casa.
    La donna mi lasciò da sola così che potessi sistemarmi come desideravo, ed io gliene fui grata. Avevo bisogno di un po’ di tempo per me stessa, per potermi rifugiare in un posto sicuro e tranquillo, da sola.
    La mia valigia non era pienissima, avevo portato con me solo le cose indispensabili.
    Stavo disponendo i vestiti ordinatamente nell’armadio quando sentii un suono sconosciuto provenire dalla stanza di fronte alla mia. Sembrava il suono di una chitarra acustica, ma mi affacciai curiosa nel corridoio.La porta era minimamente aperta dunque decisi di avvicinarmi. Ma certo, si trattava sicuramente di Andrea. Quel ragazzo aveva un talento e una passione incredibili per la musica, l’aveva sempre saputo.
    Era talmente curiosa che aprì maggiormente la porta, soffermandosi con lo sguardo su di lui.
    Era così diverso dall’ultima volta in cui l’aveva visto.
    I capelli biondi incorniciavano un viso chiaro, pallido. Era seduto sul pavimento, la schiena poggiata contro il letto e la chitarra sulle gambe. Aveva il corpo di un uomo, muscoloso ma non esageratamente, le braccia lasciavano intravedere le vene blu. Poco dopo si accorse di non essere più solo e interruppe la canzone, alzando il viso ed incrociando il mio sguardo, osservandomi.
    -Tu devi essere Camilla.-Disse infine, con tono freddo e distaccato.
    Annuii distrattamente, incrociando le braccia al petto.
    -E tu Andrea.
    Il ragazzo assentì, guardandomi ancora per qualche secondo. Non sembrava desideroso di fare amicizia e sinceramente non ne capivo il motivo.
    Era un ragazzo discreto, questo lo sapevo da sempre, ma avremmo dovuto convivere per non si sa quanto, avrebbe anche potuto fare un minimo sforzo per instaurare una conoscenza.
    -Io..torno a sistemare le mie cose.-Balbettai, osservandolo.
    Mi aspettavo una risposta, ma non arrivò. Andrea riprese a suonare la stessa canzone che aveva interrotto qualche minuto prima ed io scossi la testa, allontanandomi dalla porta e tornando delusa in camera mia.
    Le basi per una buona convivenza non erano decisamente buone.
    Le uniche persone con cui avevo avuto una conversazione più o meno piacevole erano Carla ed Edoardo, i ragazzi dovevano in qualche modo odiarmi per avere quel comportamento.
    Sbuffai sedendomi sul letto e togliendomi le converse rosse. Ero esausta e tutto quel caos mi aveva provocato il mal di testa, eppure non riuscivo a capire perché quei due ce l’avessero in quella maniera con me. Potevo essere un così grande disturbo per loro?
    Mi sdraiai comodamente sul materasso, socchiudendo gli occhi,dimenticandomi completamente del disordine che regnava nella stanza.
    La sera era senza dubbio la parte della giornata che odiavo di più da quando erano morti i miei.
    Era soprattutto durante la sera, quando ero sdraiata sul letto, che mi piombavano addosso tutti i ricordi e i momenti della mia vecchia vita, quando tutto era tranquillo e sereno e potevo essere una normale adolescente.
    Eccola lì,l’immagine di mia madre intenta a darmi la buonanotte e a rimboccarmi la coperta nonostante non fossi più una bambina. Era una consuetudine ormai. Mi chiedeva come fosse andata la giornata, mi chiedeva se a scuola andasse tutto bene, oppure parlavamo dei ragazzi e delle amiche. Andavamo molto d’accordo, eravamo…complici. La sintonia che ci legava era rara da trovare tra madre e figlia.
    Le lacrime iniziarono a percorrermi lentamente le gote, bagnando il cuscino. Mi feci piccola e mi coprii con il lenzuolo viola, iniziando a singhiozzare piano tentando in tutti i modi di non farmi sentire.
    Non volevo la pietà di nessuno, ero abbastanza grande per superare quella difficile situazione da sola. L’unico problema era che non ero abbastanza forte, non lo ero mai stata.
    Eppure, per la prima volta dopo tante sere,mi addormentai senza nemmeno accorgermene, cancellando dalla mia mente ogni traccia di ricordo.


    Quella era la mia prima mattina a Milano, il mio primo giorno di scuola nella nuova città. Avevo dormito tranquillamente tutta la notte e la cosa mi rendeva sorpresa ma allo stesso tempo rassicurata.
    Ma,nonostante la nottata tranquilla che avevo trascorso, ero pensierosa e preoccupata per il mio primo giorno di scuola. Non conoscevo nessuno nel nuovo istituto, fatta eccezione per Andrea e Manuel che non mi rivolgevano la parola.
    A colazione erano stati entrambi in silenzio mentre intrattenevo una normale conversazione con Edoardo sulla scuola e sulle mie materie preferite.
    -E quindi sei portata per le lingue, giusto?-mi chiese, sorseggiando una tazza di caffè.
    -Decisamente.-affermai.- Sono una schiappa in tutto il resto.-abbozzai un sorriso.
    L’uomo sorrise di rimando poggiando la tazza sul tavolo.
    -Quali lingue parli?-Mi chiese poco dopo, osservandomi curioso.
    -Inglese, francese e tedesco fluentemente, ma avevo anche iniziato lo studio dell’arabo.-affermai, pentendomene dopo poco pensando di essermene in una qualche maniera vantata.
    -L’arabo è utilissimo, penso che dovresti continuare. Nella tua nuova scuola dovrebbero esservi dei corsi pomeridiani, potresti informarti.
    -Lo farò sicuramente.
    Proseguimmo nella conversazione per qualche minuto, giusto il tempo di terminare la mia tazza di latte.
    Edoardo ci accompagnò a scuola ed io speravo vivamente che i due fratelli mi avrebbero parlato durante la mattinata. Ero in una nuova scuola e per le uniche persone che conoscevo, con le quali tra l’altro dividevo la casa, non esistevo. Bene, era un inizio favoloso.

     
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