Alien

twincest/ malinconico/PG13

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  1. °GinevrA°
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    Titolo: Alien.
    Autrice: °GinevrA°
    Genere: twincest/ malinconico
    Raiting: PG13
    Disclaimer: Nessuno dei personaggi di cui scrivo mi appartiene, nessuna delle cose che ho descritto è realmente avvenuta. Non scrivo a scopo di lucro nè diffamatorio ma per puro diletto.
    Riassunto: Uno dei ricordi che teneva più a cuore – fosse anche solo perché gli aveva aperto gli occhi su un po’ di cose - era proprio quando aveva realizzato il perché della tristezza lampante di Kurt Cobain. Probabilmente gli artisti, soprattutto i musicisti, si conoscevano un po’ tutti e finivano per somigliarsi, prima o poi.

    Prima o poi, tutti arrivavano alla conclusione che arrivati in cima, ti guardi intorno e ti accorgi che nulla è come te l’immaginavi quando potevi soltanto sognarlo.

    Keyword: Alien.
    Note: Shot partecipante alla I Mini Challenge di Kaulitzestita







    Doveva aver avuto all’incirca undici o dodici anni, Bill, quando aveva visto una vecchia registrazione dei Nirvana e aveva avuto modo di vedere e ascoltare qualcosa di cui aveva solo sentito parlare in casa sua, da quando la mamma si era messa con quello strano tipo che non faceva altro che parlare di Nirvana, Aerosmith, Ramones e altri nomi di cui ignorava l’esistenza. La poca cultura musicale del Bill undicenne – cultura che, ad ogni modo, era bastata a fargli esplodere quella voglia di sfondare nel mondo della musica – consisteva nelle canzoni che David Bowie aveva inserito nel film “Labyrinth”, di cui andava matto. Era anche l’unico punto in comune che aveva con Tom, che lo prendeva incessantemente per il culo per il restante novanta per cento della musica che ascoltava.

    Quella che aveva visto, di preciso, era una videocassetta su cui era registrata l’esibizione del gruppo ad MTV unplugged. L’aveva trovata in quello che ormai era diventato lo studio di Gordon e Tom – che andavano a braccetto da quando Tom aveva cominciato a mettere mano alle corde di una chitarra – mentre cercava un accordatore elettronico che il gemello gli aveva delicatamente ordinato di andargli a prendere. Da quando aveva imparato come tenere in mano quegli stupidi strumenti sembrava sentirsi già una star e poco importava se ad ascoltarli, nei loro piccoli “concerti”, erano una decina di persone scarse.

    Be’, non che Bill non si sentisse esaltato anche solo per quello… la differenza era che lui si preparava per qualcosa di molto più grosso che sapeva sarebbe arrivato. Era solo una questione di tempo, diceva, e quelle dieci persone si sarebbero trasformate in diecimila e più.

    Scava e riscava, alla fine il piccolo Bill aveva scovato una scatola piena di cassette audio e video, tirandone fuori qualcuna che non aveva suscitato molto interesse in lui, non avendo trovato l’accordatore. Non che facessero la differenza, per lui una valeva l’altra quindi aveva arraffato la prima videocassetta che gli era capitata a tiro e ne aveva letto il titolo. Gli era parso più interessante degli altri, per qualche ragione, ed era tornato sui propri passi, diretto da Tom col bottino.

    «Guarda cos’ho trovato» aveva esordito entrando nel salottino.

    Tom si era voltato a guardarlo prima ancora che lo raggiungesse, con quella sua espressione perennemente scazzata neanche fosse un Axl Rose colto alla sprovvista. Almeno, Axl, aveva bei capelli e non liane biondicce impossibili da domare… o almeno quando ne aveva di capelli, Axl.

    «Cosa?» aveva chiesto, accigliandosi quando Bill gli aveva mostrato semplicemente la videocassetta. «Cos’è?»

    «L’ho trovato di là» gli aveva fatto semplicemente Bill, sedendosi accanto a lui sul divano. Il biondino l’aveva esaminata giusto il tempo di dichiarare che l’aveva già vista, per poi ridargliela.

    «Ma io no!» aveva protestato il minore. «Quando l’hai vista?»

    «Con Gordon.»

    Tom aveva ripreso ad armeggiare col suo strumento e Bill aveva abbassato lo sguardo mordendosi un po’ le labbra. Non gli piaceva che Tom facesse delle cose senza di lui, e che lui restasse indietro sulla vita del suo gemello. Sembrava come se quelle stupide chitarre l’avessero rimpiazzato e spesso si ritrovava a chiedersi, con un certo timore, se non fosse stato peggio, quando avrebbero raggiunto il successo. Perché Bill lo sapeva, che un giorno avrebbero davvero sfondato.

    Un tempo, Tom sarebbe corso da lui per chiedergli di guardare insieme quella videocassetta, invece in quel presente ingiusto, il gemello l’aveva già vista e non gli aveva detto nulla.

    Non sarebbe passato su quella cosa.

    «Voglio vederla anch’ io!» si era impuntato allora il piccolo, quasi fosse una questione di principio. E in effetti un po’ lo era diventata.
    Tom aveva roteato gli occhi. «Ma non ti piacerà neanche. Non è roba per te…»

    «E tu che ne sai?»

    Stavolta, oltre a roteare gli occhi, Tom aveva sbuffato abbandonando le braccia sul legno della chitarra. Aveva guardato il viso speranzoso e struccato di Bill ed aveva indicato la televisione col capo. «Dài, mettila…»

    Bill, squittendo soddisfatto, non se lo era fatto ripetere due volte – ovviamente – ed aveva inserito la videocassetta catapultandosi poi di nuovo al suo posto sul divano, accanto a Tom.

    Erano soli in casa, e accadeva sempre più spesso che lo fossero, da quando la mamma si era messa col tipo strano e aveva preso a lavorare regolarmente.

    Tom aveva steso un braccio sullo schienale del divano e Bill si era rifugiato in quello spazio, stringendosi a lui e prendendo a toccargli i dreadlock con cui aveva acconciato i suoi capelli da un po’. Nel farlo aveva appoggiato il viso sulla sua palla e di tanto in tanto gli sfiorava il collo col naso, lasciando che Tom appoggiasse a sua volta il mento sulla sua testa.

    La videocassetta era partita con la semplice scritta “Nirvana” in bianco e l’immagine del gruppo che suonava tra candele e fiori. La qualità del video era scadente e Bill neanche capiva cosa dicessero quando parlavano, e quando chiedeva a Tom di spiegarglielo, quello rispondeva con un “fammi sentire” che aveva tutta l’aria di una scusa per non ammettere che non ci capiva niente neanche lui.

    La musica che suonavano non era delle più allegre e tutti avevano delle facce fin troppo serie; quasi faceva fatica a definirli “rock”, come Tom gli aveva invece fatto presente.

    E sembrava davvero triste, quel ragazzo che cantava. Sembrava malinconico, o semplicemente triste, proprio… ma incredibilmente bello. Bill si muoveva quasi fosse a disagio, su quel divano, pensando a quanto fosse tenero quel ragazzo. Gli ricordava un po’ Tom, per certi versi, con quei capelli lunghi e biondi, la chitarra fra le braccia e il maglione forse un po’ troppo largo, per uno mingherlino come lui.

    Ogni tanto ridacchiava, però.

    «Che c’è?» aveva chiesto Tom, all’ennesima risatina infantile di suo fratello. Bill si era strofinato un po’ il naso e si era spostato la lunga frangia dal viso. «Il batterista» aveva detto quello. «Ha una faccia strana.»

    In effetti in quell’Unplugged, Grohl, con quel suo maglioncino color prugna a collo alto e la lunga coda di cavallo, aveva una faccia tanto da scemo che a ripensarci ancora adesso rideva. Anche Gustav era buffo… magari tutti i batteristi dovevano esserlo, per chissà quale ragione, poi.

    Tuttavia, Bill undicenne non era affatto il tipo da Nirvana, era davvero roba da Tom, quindi alla fine della terza canzone si era già annoiato. A dodici anni gli piaceva la freschezza falsamente ribelle di Nena e la gioia delle canzoni commerciali da poter ballare in cameretta… di fronte a tutta quella malinconia e a quella voce che sembrava ruggire un lamento a lui neanche tanto lontano non ci stava bene, anche se non avrebbe potuto negare l’attrazione che quel ragazzo esercitava su di lui. Sarebbe servito solo un po’ di tempo, per rendersi conto di quanto fossero simili, loro due e il ragazzo triste di quel video.

    Non aveva neanche chiesto a Tom come si chiamasse – lui doveva saperlo per forza – eppure si era ritrovato a pensarlo soprattutto sui banchi di scuola. Quella, poi, era davvero la cosa più infernale che potessero affrontare nella loro vita… l’unica che si fosse permessa di dividerli.

    Non era per nulla bella la vita a Loitsche. I loro vicini erano degli stronzi bigotti che quando li vedevano facevano una faccia storta da perfetti inquisitori e guardavano altrove quando li salutavano; a scuola poi, non facevano altro che ritenerli degli asociali o inventarsi nomignoli cattivi per descriverli come maledetti, diversi, pagliacci o alieni.

    Il pregio delle grandi città è che la gente è troppo presa da se stessa e ha fin troppi vicini per decidere chi evitare. Nella grande città sei un viso anonimo che a nessuno interessa fissare quel tanto che gli permetta di ricordarne i tratti. Nella periferia, il tuo viso diventa il bersaglio preferito degli stronzi che si affacciano dalla finestra giusto per spiarti senza farsi vedere. Se poi il tuo viso è circondato da lunghi capelli neri e i tuoi occhi contornati da spessi strati di eyeliner o hai liane bionde che spuntano dalla testa, puoi stare sicuro che oltre alle facce storte, hai un abbonamento come protagonista delle chiacchiere dell’intero vicinato e oltre.

    Più la gente parlava, però, più le loro orecchie diventavano sorde e gli occhi ciechi agli sguardi grigi della città. Bill era tutto fumo e niente arrosto, poteva fissarti con quel suo sguardo di ghiaccio come se volesse ucciderti ma in realtà la paura superava il coraggio stesso di uscire di casa conciato in quel modo. Non ci fosse stato Tom, per intenderci, non l’avrebbe fatto mai.

    Faceva tante cose che non si sarebbe mai sognato di fare da solo semplicemente perché sapeva che ci sarebbe il suo gemello pronto a prendere le sue difese comunque, anche se era il primo a prenderlo in giro.

    Lui e suo fratello erano i soggetti preferiti dei pettegolezzi di mezza città anche se non facevano nulla ed era in momenti come quelli che si ricordava della voce trascinata e rauca del ragazzo biondo della videocassetta. Uno come lui, per dire, non aveva potuto non provare la stessa sensazione di inadeguatezza che provavano loro… proprio come degli alieni.

    Probabilmente era stato per uno strano scherzo del destino che una notte troppo piena d’alcool si erano trovati a ballare una “All apologies” proveniente da chissà quale Jukebox lontano anni luce da loro, con una bottiglia di birra a testa e tante altre vuote ai loro piedi. Probabilmente la musica poteva provenire anche dalla stazione di servizio in cui si erano fermati, o direttamente da uno dei tourbus in cui forse Georg o chissà chi stava ascoltando quel disco direttamente dallo stereo del mezzo… ma date le condizioni in cui si trovavano, non l’avrebbero scoperto mai. Ridevano guardandosi solo in faccia e facevano fatica a stare in piedi, fino a che non si erano ritrovati accasciati l’uno sull’altro cercando di reggersi in piedi in una posizione umana. Bill si era aggrappato con le sue dita fragili alla camicia del gemello, stringendogli le spalle e nascondendo il viso fra capelli, pelle e tessuto della felpa di Tom, mentre quest’ultimo cercava i suoi fianchi stretti stringendoli e tentando di stare ben fermo sui quei piedi che parevano aver preso vita da soli.

    «What else shoul I be…»

    «… Cosa?» aveva chiesto Bill, e la sua voce sembrava essere andata via dopo ore ed ore di sonno.

    «Senti» aveva risposto semplicemente Tom, indicandogli col capo una direzione che Bill non avrebbe potuto seguire, vista la posizione. Era “All apologies” quella che ora riempiva l’aria, con i fendenti che Kurt lanciava all’atmosfera con la sua voce graffiante e trascinata, ma che ora arrivava come un suono lontanissimo e debole. Sembrava proprio l’epoca dei Nirvana, quella, l’epoca in cui il sottobosco di Seattle ringhiava un disagio comune a tutti i ragazzi del millenovecentonovantaequalchenumero. Qualcuno doveva avere avuto una brutta giornata, a quanto pareva.

    Everyone’s gay…” aveva cantato Kurt, e Bill si era aperto in una risatina sghemba, di quelle che non ti mettono alcuna gioia e piuttosto ti inquietano un po’.

    «Eh?»

    Bill si era tolto dal viso un po’ di ciocche corvine. «L’hai sentito? Lo dice anche lui… siamo tutti froci.» Era stato in quel momento che si era liberato della presa di Tom ed aveva raccolto la bottiglia semivuota che aveva lasciato per terra. Tom aveva barcollato un po’, quasi quella perdita l’avesse sconvolto. Aveva osservato la sua copia dark piegare le lunghe gambe e sedersi per terra, bevendo qualche sorso.

    La piazzetta in cui si erano fermati era semivuota, a parte i loro tourbus e altri mezzi che trasportavano il materiale per il tour. Avevano sedici anni e un concerto da affrontare l’indomani, mentre rimbombavano solo le parole di Kurt sotto un cielo scurissimo e si era seduto anche lui, accanto a Bill. Non gli si era messo proprio vicino, aveva preso un po’ di distanza come per lasciarlo solo, ed aveva cominciato a fissarlo da lì.

    Era quasi come guardarsi dal di fuori, se ignorava i lunghi capelli neri che non gli appartenevano.

    «… Forse» aveva detto solo dopo un po’. Bill si era voltato verso di lui ma non aveva detto nulla. «Forse lo siamo. Tu di sicuro.» E il sorrisetto appena accennato che aveva accompagnato quelle parole non aveva fatto mutare l’espressione di Bill che, in tutta risposta, si era voltato nella direzione opposta.

    Tom si era steso, proprio lì per terra, incrociando le mani dietro la testa. Aveva fissato il cielo, ma quel nero intenso non gli aveva detto nulla… niente di più di quanto Cobain gli stesse suggerendo da quel jukebox fantasma acceso chissà dove.

    Aveva visto un’ombra sospetta avvicinarsi, una figura sinistra, scura come quel cielo, sedersi accanto a lui.

    «Ma tu…» aveva cominciato quell’ombra, con una voce bassissima «… l’amore con me, lo faresti?»

    E Tom non si era voltato neanche a guardarlo.

    «Neanche se non fossi tuo fratello… o se fossi una ragazza?» aveva aggiunto poi, mangiucchiandosi l’unghia del pollice. Fissava il suo gemello biondo sotto le lunghe ciglia.

    Tom aveva scosso la testa come per dirgli che era fuori strada ed aveva esalato un sospiro paziente. Era sempre stato paziente, Tom; si prendeva sempre tanto tempo per pensare e per rimettere in carreggiata i pensieri del suo fratellino troppo avventato per ragionare, prima di agire o aprire bocca.

    Non era di certo accaduto in una notte, e non era neanche successo che Bill si fosse svegliato una mattina pensando che Tom fosse proprio il ragazzo più bello che avesse mai visto e che quelle sue labbra avrebbe proprio voluto baciarle. E non era successo neanche a Tom. Alle loro spalle c’erano notti intere a consolarsi e ad asciugare le lacrime dell’altro, per colpa degli sguardi grigi e del brusio della città.

    La scuola non aveva sortito alcun effetto e non era bastato separarli per far capire loro che così non andava. Non c’era modo di convincerli che separati sarebbero stati meglio, perché separati non valevano nulla, ecco la verità.

    Bill aveva preso ad accarezzargli i dread come faceva da piccolo e la mente aveva vagato nei suoi ricordi più profondi. Quella volta sul divano di fronte alla TV, quelle a provare a diventare star in un piccolo studio di un paesino disperso, il bacio – vero e lungo, non quelli leggeri che si erano sempre scambiati, ma un bacio proprio – della sera precedente.

    Avevano sedici anni, e c’era ancora tempo per guardare al passato con nostalgia e desiderare di tornarci.

    Aveva atteso che Tom dicesse qualcosa, ma l’unica cosa che era riuscito a sentire era stata: «Smettila di fottermi il cervello.»

    Tom aveva sorriso in quel suo modo da maniaco mentre lo diceva; erano comunque abbastanza ubriachi entrambi da sapere che probabilmente il giorno dopo non si sarebbero ricordati niente, eppure quella era indubbiamente l’occasione più adatta per ricevere una risposta sincera come mai ne avrebbe potute sentire da qualcuno.


    **




    Avevano diciannove anni o giù di lì, quando si svegliavano entrambi nello stesso letto, le lenzuola ancora calde e sporche e i corpi nudi stretti in un abbraccio.

    Il più delle volte si svegliavano in quel modo, col marchio del più antico peccato ancora fresco sulla pelle.

    Era una sensazione calda, probabilmente più calda dell’inferno in cui sarebbero finiti. Eppure non si poteva dire che non ne valesse la pena… erano probabilmente gli unici al mondo a guadagnarsi la dannazione eterna solo godendosi la cosa più bella del mondo.

    Com’era successo che finissero fin lì, tra le lenzuola spiegazzate dello stesso letto? Forse era stata semplicemente la risposta che Bill si aspettava alla domanda posta tanto tempo prima… Forse Tom aveva ecceduto nel suo rispondere, o Bill gli aveva dato un aiutino, tanto per fargli capire che era serio quando chiedeva certe cose.

    Tom l’aveva cercato, l’aveva trovato e aveva allacciato le braccia intorno al suo corpo e chissà cos’altro. Ovviamente, Bill se l’era preso, con la solita sicurezza di chi crede che tutto gli sia dovuto.

    Quella in cui si erano svegliati, comunque, era una giornata particolarmente incolore. Una di quelle che a guardarle dal di fuori, ti chiedi come sia possibile farle passare e, viste dall’interno, neanche a parlarne. Una di quelle che se non ti senti in pace col mondo ogni raggio di sole di quella maledetta città ti fa raggelare la pelle.

    E loro, in quello schifo di città dei loro primi anni, non si erano mai sentiti in pace. Era la Germania quella in cui stavano dormendo, eppure benché amassero la loro terra, non riuscivano a nascondere il suo lato oscuro che ricordavano sempre. La portavano nel cuore, ma quello stesso cuore conservava episodi che avrebbero eliminato volentieri di lì.

    Non ci erano tornati per godersi l’aria di casa, comunque. Erano lì per lavoro.

    Era tempo di tour e tempo di sbattimenti epocali. Bill aveva già terrorizzato tutto lo staff, come al solito in quei periodi, con le sue scenate sulle luci troppo basse o troppo alte, il caffè che arrivava in ritardo e i capelli che non gli piacevano.

    Nonostante tutto le sue scenate da eterna crisi mestruale venivano compensate, il più delle volte, dalla sua dolcezza che non mancava mai di dimostrare anche nei gesti più infantili e dai modi amichevoli con cui si comportava sempre con tutti. In linea di massima era uno a cui si poteva voler molto bene, quasi d’un affetto che si riserva di solito ai bambini, eppure allo stesso tempo era uno di quelli che dovevi sempre tenere d’occhio e un po’ temere.

    Era un lavoratore instancabile e scrupoloso, ma i sui scazzi li aveva, anche perché se i più sembravano ritenerlo uno fuori dal mondo e, perché no, anche da tutto l’universo – cosa con cui sembrava essere d’accordo egli stesso al pari del gemello – Bill era una persona tremendamente umana. E anche delle specie più banalmente prevedibile, poi… forse era solo un po’ esagerato.

    Ecco, Bill era un estremista in ogni campo. Fin da quando aveva deciso di completare il cerchio tirando in ballo la parte dell’altro sesso che ogni persona porta dentro di sé. Dicono. Quindi nulla di strano quando aveva cominciato a mettere mano sui trucchi della mamma, quando aveva messo quella gonna che forse nessuno ricordava che avesse messo anche Axl Rose in persona, dal modo in cui la città l’aveva guardato il giorno dopo e anche quando faceva un dramma per ogni piccola cosa.

    Nei giorni di tour, che agli altri piacesse o meno, era quasi d’obbligo che ogni minima cosa diventasse un dramma biblico, e lo scazzo sembrava regnare sovrano per tutti, dal primo all’ultimo impegno della giornata.

    Quando si svegliavano, di quei tempi, le giornate che sembravano cominciare sempre col piede storto quasi sempre terminavano ancora peggio.

    Non si alzavano mai dal letto con buone prospettive, non salutavano mai l’alba di un nuovo giorno col sorriso sulle labbra. Piuttosto, con un sibilo che somigliava ad un “Altre dodici ore di rotture di coglioni. Buongiorno mondo.”

    Soprattutto se le giornate che si ritrovavano a vivere erano scandite dalla stessa identica routine che seguivano da qualche anno.

    Maledetto, chi pensava che la vita da star fosse fatta di avventure incredibili, vacanza tutto l’anno e fare ciò che ti piace fare e hai sognato per tutta la vita. La vita da star era fatta di notti insonni chiusi in una scatola gigante su ruote, ore e ore di viaggi spossanti e inutili interviste in cui servire le solite risposte che la gente si aspettava. A Tom non piaceva nulla di tutto quello. Non che rinnegasse la propria passione, ma ciò che non gli andava giù era tutto il contorno… A Bill di certo piaceva molto di più, lui era portato per quei servizi lunghi ore in cui gli facevano cinquanta scatti per poi sceglierne massimo tre; gli piaceva farsi ammirare e desiderare perché era quello che aveva cercato da quando era un bambino che provava in tutti i modi a farsi notare. Voleva tutti gli occhi su di sé, quasi fosse qualcosa di patologico. Quasi avesse bisogno che gli altri gli dicessero che esisteva, non bastasse il solo fatto di respirare…

    La musica, il successo, la moda… non era che un mezzo per ottenere tutto quello; l’odio nei suoi confronti la prova concreta che avesse fatto centro.

    Quell’odio, però, talvolta gli comunicava più di semplice invidia o puro astio dal sapore vagamente omofobo… Era irritante e gratuito, grigio e pesante come quello dello sguardo della città. Lo stesso che sentivano addosso in quel paesino sperduto che era Loitsche.

    La prova che non fossero affatto cambiati, in fondo, o che la gente fosse tutta uguale, in ogni antro della terra. Anche ora che erano cresciuti, migliaia di persone li ammiravano e li ritenevano dei modelli, gridavano di gioia isterica o amore fasullo e si dichiaravano dalla loro parte in qualsiasi occasione in cui si vedevano come degli alieni.

    Gli alieni di Loitsche. Sempre gli stessi, tutto uguale.

    Forse era vero che venivano da Marte, che non erano di questo mondo, perché magari nel loro gli uomini si truccavano, portavano vestiti larghi e capelli acconciati in strane trecce o ingellati all’insù e i fratelli andavano a letto insieme. Certo, ma sarebbe stato un tantino difficile convincere il resto del mondo che loro erano normali e gli altri sbagliavano, quindi le occhiatacce dovevano tenersele e, in caso, rispondere di conseguenza.

    Perché tanto, quando non li potevi vedere in faccia uno ad uno, gli occhi della gente si confondevano e diventavano un volto solo, confuso e scuro, e a quel punto non potevi più permettergli di farti paura. Loro lo chiudevano fuori dalla porta e tiravano un grosso sospiro.

    Uno dei ricordi che teneva più a cuore – fosse anche solo perché gli aveva aperto gli occhi su un po’ di cose – era proprio quando aveva realizzato il perché della tristezza lampante di Kurt Cobain. E l’aveva fatto proprio un pugno di minuti prima dell’ennesimo programma televisivo in cui avrebbe semplicemente dovuto stamparsi in faccia il migliore dei suoi sorrisi e rispondere per la milionesima volta alle stesse domande ficcanaso.

    Probabilmente gli artisti, soprattutto i musicisti, si conoscevano un po’ tutti e finivano per somigliarsi, prima o poi.

    Prima o poi, tutti giungevano alla conclusione che arrivati in cima, ti guardi intorno e ti accorgi che nulla è come te l’immaginavi quando potevi soltanto sognarlo.

    La verità era che loro, quei ragazzi di Seattle, al successo non ci avevano mica mai pensato.

    Loro due pensavano spesso che a Seattle, due come loro, ci sarebbero stati proprio bene. Suonavano anche loro, ma più che suonare, sembravano incidere qualche disco tanto per giustificare la sovraesposizione mediatica di cui erano protagonisti. Era capitato anche a quelli di Seattle, con la differenza che la sovraesposizione mediatica li aveva travolti dopo, non ci erano nati e tantomeno ne erano il frutto.

    Tutto quello che avevano fatto era stato suonare in un lurido bar del sottobosco di quel triste buco di città e il passaparola aveva fatto il resto, ma laggiù al nord di Seattle bastava anche solo quello. I gemelli erano certi che non si sarebbero sentiti i disadattati sociali che si ritrovavano ad essere lì nel paesino bigotto, nella Città della Pioggia.

    Kurt, pace alla sua, ogni tanto girava vestito di un abito che gli lasciava scoperte le ginocchia, a fantasie floreali. Bill, poco ma sicuro, sarebbe probabilmente passato inosservato, col suo look che sembrava fare il verso ad una qualsiasi groupie anni ‘80.
    Ora fuori dalla loro finestra il cielo sembrava proprio quello di Seattle. Le nubi cariche d’acqua non concedevano neanche un timido spazio azzurro e qualsiasi più lontano desiderio di uscire di casa sarebbe stato accolto da quel cielo minaccioso con un calcio nelle palle. Ma a loro andava bene così, nulla di meglio che starsene a casa senza far nulla e, soprattutto, non dover subire lo sguardo della città scuro quanto i nuvoloni che avevano preso in ostaggio il bel tempo.

    Meglio starsene con uno della tua stessa pasta, e anche delle tue stesse cellule, anche se ti rompe i coglioni ogni due per tre, perché essere gemelli comporta anche questo: essere abbastanza egoisti da credere che il mondo cominci e finisca nella sagoma dello specchio vivente con cui sei nato.

    Bill si era destato lentamente e aveva piegato un braccio al petto dopo aver accarezzato brevemente quello di Tom, fino alla curva tra il collo e la spalla. Aveva chiuso a pugno la mano contro di sé, godendosi la stretta molle del gemello finché non si era svegliato anche lui.

    Dal loro risveglio al primo impegno della giornata – che sarebbe dovuta essere libera, se Jost non avesse pensato bene di piazzare loro un’intervista in mattinata – mancavano un paio d’ore scarse, quindi si presero entrambi tutto il tempo e la libertà di un risveglio pigro e tremendamente lento.

    Tom si sedette sul letto ancora intontito dal sonno e si guardò un po’ intorno, appoggiandosi coi gomiti sulle ginocchia piegate verso di sé, incrociando quasi le braccia. Accese la Tv sintonizzandosi su un canale musicale trovato chissà come e prima ancora di riconoscere la canzone, la tipa dannatamente brutta che si tirava i codini e sorrideva con quel terribile sorriso metallico da bimba cresciuta male gli suggerì subito quale fosse il gruppo in questione.

    «Grohl ha sempre avuto una faccia curiosa» commentò Bill alle sue spalle, con un piccolo sorrisino pigro.

    «È il video più figo della storia» rispose l’altro. «Spaventosamente espressivo, non c’è che dire.» Ed entrambi ridacchiarono sulle scene comiche di Learn to fly, godendosi una canzone che un video tanto stupido non sminuiva affatto.

    «Sembravamo proprio i Nirvana, quando ci chiamavamo Devilish. Ci hai mai pensato?» chiese poi Bill dopo un po’, sedendosi dietro di lui per avvolgergli il collo con le braccia e affiancare il viso al suo.

    «Non ti sono mai piaciuti i Nirvana» commentò l’altro.

    «Non è vero.»

    «Quando guardammo la cassetta dell’Unplugged non durasti che un paio di canzoni» rispose lui, voltando di poco il viso per scrutare, col suo mezzo sorrisino e gli occhi stretti a due fessure, l’espressione di Bill. «Hai sempre avuto gusti di merda.»

    «Mi annoiava solo la musica, ma ero piccolo!» gli fece allora il moro, mollandogli uno schiaffetto sul petto con fare infantile. «E poi mi piaceva Kurt…»

    Allo sguardo malizioso di Tom, Bill si sentì in dovere di smentire subito i filmini che – sicuro – si era già fatto in testa riguardo quell’uscita. «Non in quel senso, scemo!»

    «Allora quella per i biondi è una fissazione…»

    Bill, semplicemente, sciolse l’abbraccio per distendersi di nuovo tra le lenzuola e gli piantò un piede dietro la schiena. Poi tutti e due.
    Il video musicale terminò, lasciando spazio ad un clip tutto tette, culi e rapper ricconi che a Tom sarebbe piaciuto senza dubbio.

    «Ce l’abbiamo ancora quella cassetta?»

    «Quella dell’unplugged?» chiese Bill, spingendolo un po’ con i piedi. «Ce l’abbiamo sul pc.»

    «La guardiamo?» fece quindi Tom, stendendosi al fianco del gemello per stringerlo alla vita e affondare in modo quasi infantile il viso nel suo petto.

    Bill sospirò e gli strattonò leggermente quei dread che gli facevano sempre un po’ schifo.

    Bill aveva avuto ragione, alla fine, e il momento in cui avevano guardato al passato con nostalgia era arrivato, facendo desiderare loro di tornarci… ma almeno, guardando quel ragazzo biondo e triste, non si sarebbero sentiti gli unici alieni del mondo.






    SPOILER (click to view)
    *Note*

    Sono sommersa da magliettine estive, gonnelline e valige.
    Tutto ciò perchè Domenica parto per le vacane, e dato che Domenica parto, posto adesso.

    Mi sono ripromessa di postare una Shot al mese, anche se ho anticipato questa qui perchè vorrei almeno rispondere ai commenti prima di partire.

    Vi devo dire anche che inizialmente avevo pensato di partecipare con tre IU e una AU, che poi sono diventate tutte IU perché per l’altra non c’era verso … questa “Alien” oltre ad essere stata la prima parola su cui ho messo gli occhi e la prima OS che ho cominciato e finito, era nata come AU un pò di tempo fa, ma poi ne ho raccolto le ceneri ed è uscita questa fusione strana e sicuramente mal riuscita tra i due gruppi.

    Uno che amo molto e uno che mi è per lo più indifferente … lascio a voi immaginare chi sia l’uno e chi l’altro XD

    E diciamo che in modi neanche troppo differenti sono due gruppi che mi danno la stessa impressione, quindi ho reso il tutto in modo che ne uscisse una storia da fan, immaginandomi proprio i Kaulitz sì come le star che allo stato attuale sono, ma anche come Fan che si identificano con i loro “miti” (anche se dubito fortemente loro amino tanto i Nirvana … però ho ascoltato qualche pezzo delle loro primissime canzoni da Devilish e devo dire che con la disperazione ci siamo XD)

    Ora come ora devo concludere solo la quarta OS, ma sono in un periodo Long-Fic e quando sono in un periodo Long-Fic mi riesce difficile scrivere One Shot ... >.<
    Di fatto la Terza shot è tipo quindici pagine, non vorrei che la quarta din esca fuori di trenta XD

    vabè la faccio finita, pure perchè scrivo note più lunghe delle storie stesse, quindi a voi la parola u.u
     
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  2. LovelySuicide
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    *________*
    è davvero bellissima e molto profonda! mi dispiace di non averla letta prima... e che dall'inizio non mi ispirava molto, poi però dopo un po' l'ho letta comunque e... 0.0 ...è diventata una delle mie one shot preferite! inoltre e anche scritta malto bene, complimenti! =)

    ps. adoro all apologies :D
     
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  3. °GinevrA°
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    Oh, grazie! ^^
    Io amo molto i Nirvana, soprattutto All apologies ;D
     
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  4. durchdienacht
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    Ieri avevo pensato a cosa scrivere e mi sono gia scordata tutto XD
    Il fatto è che non so mai come commentarti, non mi sento all'altezza della storia e quindi rimango in silenzio.
    Solo che un commento te lo dovo, perchè questa os merita come anche il resto!
    Questo punto di vitsa non mi sembra di averlo mai trovato in una twincest o se c'era non era cosi preciso; guarda si potrebbe confondere con la realtà XD penso che comunque molti artisti si identificano e/o si consolano nei loro "miti" io personalmente non farei mai il musicista perchè è un mestiere infame per me.
    Devo essere sincera il titolo non mi ispirava, ma io ormai non mi faccio più condizionare dal titolo ma dall'autore e alla fine ho letto e come sempre ho apprezzato tantissimo!
    Sei sicuramente brava ma soprattutto particolare <3<3 ti faccio i miei complimenti!!
     
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  5. °GinevrA°
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    CITAZIONE (durchdienacht @ 26/7/2010, 13:50)
    Ieri avevo pensato a cosa scrivere e mi sono gia scordata tutto XD
    Il fatto è che non so mai come commentarti, non mi sento all'altezza della storia e quindi rimango in silenzio.
    Solo che un commento te lo dovo, perchè questa os merita come anche il resto!
    Questo punto di vitsa non mi sembra di averlo mai trovato in una twincest o se c'era non era cosi preciso; guarda si potrebbe confondere con la realtà XD penso che comunque molti artisti si identificano e/o si consolano nei loro "miti" io personalmente non farei mai il musicista perchè è un mestiere infame per me.
    Devo essere sincera il titolo non mi ispirava, ma io ormai non mi faccio più condizionare dal titolo ma dall'autore e alla fine ho letto e come sempre ho apprezzato tantissimo!
    Sei sicuramente brava ma soprattutto particolare <3<3 ti faccio i miei complimenti!!

    Ma piuttosto sono io a non essere all'altezza dei commenti che ricevo ç_ç
    E inoltre la pensiamo esattamente allo stesso modo, riguardo il mestiere del musicista, e la cosa mi fa davvero molto piacere ^^

    Grazie di cuore! (:
     
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  6. spoon;
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    La scena della piazzetta è stata, come dire, mi sono sentita come l'aria che c'era lì. Sì, lo so che non ha senso, ma è stato così, cazzo, è bellissimo.
    La ff è davvero bella e posso oramai dire con certezza di adorare il tuo stile. Ho letto parecchi tuoi lavori, e anche se non ho mai commentato, sento di poter attribuirti una profonda stima (prima di tutto per i gusti musicali u_u). Detto questo ti faccio i miei complimenti, rendi sempre piacevole la trama psicologica dentro la storia, brava.
     
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  7. °GinevrA°
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    CITAZIONE (spoon; @ 29/7/2010, 22:05)
    La scena della piazzetta è stata, come dire, mi sono sentita come l'aria che c'era lì. Sì, lo so che non ha senso, ma è stato così, cazzo, è bellissimo.
    La ff è davvero bella e posso oramai dire con certezza di adorare il tuo stile. Ho letto parecchi tuoi lavori, e anche se non ho mai commentato, sento di poter attribuirti una profonda stima (prima di tutto per i gusti musicali u_u). Detto questo ti faccio i miei complimenti, rendi sempre piacevole la trama psicologica dentro la storia, brava.

    Oh, ma non è vero che non ha senso, è una cosa bellissima quella che mi hai detto ...
    Ed è un peccato che non hai mai detto nulla, perchè un commento non è di certo un obbligo ma è un piacere riceverne, quindi mi avrebbe fatto davvere piacere sapere il tuo parere o il tuo punto di vista nelle altre mie storie che hai letto ^^
    Ti ringraizo per questo ^^
     
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  8. keira357
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    A parte che i Nirvana sono uno spettacolo, per essere riduttivi...
    A parte che Kurt Cobain è davvero uno dei disadattati piùpazzi di questo mondo, anche quando aveva i capelli rossi ^^...
    A parte che adoro Axl Rose e i suoi capelli lunghissimi...

    La shot è favolosamente intensa, densa e anche triste.
    E' vera, come ogni cosa che scrivi aggiungerei, profonda e struggente.
    Struggente in modo quasi doloroso...
    Complimentissimi, Gin. Sei un fenomeno ^^

    Un bacione.


     
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  9. Aly96LoveTwincest
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    La tua os mi é piaciuta tantissimo, complimenti!
     
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    CITAZIONE (keira357 @ 2/8/2010, 14:22)
    A parte che i Nirvana sono uno spettacolo, per essere riduttivi...
    A parte che Kurt Cobain è davvero uno dei disadattati piùpazzi di questo mondo, anche quando aveva i capelli rossi ^^...
    A parte che adoro Axl Rose e i suoi capelli lunghissimi...

    La shot è favolosamente intensa, densa e anche triste.
    E' vera, come ogni cosa che scrivi aggiungerei, profonda e struggente.
    Struggente in modo quasi doloroso...
    Complimentissimi, Gin. Sei un fenomeno ^^

    Un bacione.

    I capelli di Axl erano qualcosa di meraviglioso, poi aveva un viso così delicato ... ç_ç
    I Nirvana, be' ... i Nirvana. -_-
    Ma perchè, David Grohl nelvideo di Learn to fly dove lo mettiamo? Muhsuhauhsuhhauhusuha XDXD

    Ow, macchè fenomeno >.>
    Graie per aver apprezzato :D

    Bacio!


    CITAZIONE (Aly96LoveTwincest @ 2/8/2010, 15:39)
    La tua os mi é piaciuta tantissimo, complimenti!

    Grazie! ^^
     
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  11. keira357
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    Grohl no si butta mai via!! :P


     
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10 replies since 19/7/2010, 15:53   319 views
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