Schiavo d'amore [Il sorriso del cielo]

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  1. Vitto_LF
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    Titolo: Schiavo d'amore [Il sorriso del cielo]
    Autore: Vitto_LF
    Rating: PG15/R
    Genere: Introspettivo, triste, song-fic
    Disclaimers: Ogni personaggio ed evento è fittizio. La canzone citata è "Schiavo d'amore" di Piero Mazzocchetti, ma le strofe non sono riportate nell'ordine.

    Riassunto: Nessuno l’ha mai capita. Nessuno ha mai capito cosa si celasse dietro quei due pezzi di cielo. Quel mare era troppo profondo, i suoi misteri erano troppo nascosti, le sue meraviglie erano celate ben più in fondo di quanto… loro… riuscissero ad afferrare.


    “Oggi sono solo
    come lo è soltanto un folle o uno straniero
    un leone chiuso in una gabbia
    dalla quale scruta il cielo.”




    Sono solo.
    Così tanto, maledizione. E’ una sensazione terribile.
    Non solo l’essere solo.
    Solo come un folle o uno straniero.
    Un folle…
    Un folle che da oltre tre ore se ne sta seduto sul divano di casa sua, con un album di fotografie aperto poggiato sulle ginocchia.
    Lo guardo, lo riguardo, ma non lo vedo.
    Sfoglio sempre la stessa pagina. Passo avanti, torno indietro, vado di nuovo avanti.
    Andrò mai avanti… per davvero?
    E vedo solo lei. Non perché abbia la sua fotografia piantata davanti agli occhi da tre ore.
    La sua immagine è piantata nei miei occhi. Nel mio cervello, nel mio cuore, in ogni singola cellula.

    Chissà se lei ha ancora ben chiara la mia immagine.
    Chissà se si sta ancora chiedendo perché l’abbiano portata via, perché io gliel’abbia permesso.
    Chissà se mi odia perché non ho potuto fare altro che sorriderle, sfiorarla con una carezza e sussurrare un ipocrita “Non preoccuparti, andrà tutto bene.”

    No.
    Lei non è capace di odiare.
    Non lo è mai stata e mai lo sarà.
    E’ stata proprio questa sua incapacità a segnarla.
    Ma anch’io sono segnato. Per sempre.
    Forse lo ero già prima. Quando l’ho incontrata. Ma allora non lo sapevo, non potevo immaginarlo.
    Se l’avessi saputo… Ma no, se l’avessi saputo non sarebbe cambiato nulla, e ora sarei sempre qui, su questo divano, con questo album che fissa nella mia memoria ricordi e sensazioni che non sbiadiranno mai.
    E adesso fa male essere consapevole.

    “Magari scende la neve
    e s’infittisce il mistero
    coprendo come di un velo
    ma senza far rumore
    pian piano il mio cuore.”



    Stavo lì, bianco come un cencio lavato, sudando freddo.
    Se ci ripenso, quasi me ne vergogno. Anzi no, non quasi. Me ne vergogno.
    Lì, seduto su quella panchina, in fibrillazione per un imminente esame del sangue.
    Sì, ridete pure. Fatelo voi per me, io non ne ho la forza.
    Ho sempre odiato il sangue. Non potevo sapere che presto la mia vita sarebbe stata sconvolta e non avrebbe lasciato più posto per quei sciocchi giochi della mente chiamati “paure”.
    Ero così agitato da non essermi accorto che su quella panchina c’era anche un’altra persona.
    Lei.
    - Tu non devi avere paura. – Mi voltai di scatto. Una voce di bambina.
    Voce cristallina. Voce bella. La sua voce.
    Non era una bambina.
    Era lei.
    - C-come dice? –
    - Dice chi? L’ho detto io… -
    Era strana, quella ragazza. Se ne stava lì, rannicchiata su se stessa, il mento appoggiato sulle ginocchia, come se avesse freddo. I capelli biondi tirati indietro in una stretta coda di cavallo scoprivano un visetto pallido e smagrito, su cui spiccavano due pezzi di cielo.

    Cielo primaverile.
    Quegli occhi. Tutta la profondità dell’oceano in due occhi sorridenti e vacui allo stesso tempo.

    - Non ti devi spaventare, sai? Loro vogliono solo farti paura. Tu non gli devi dare questa soddisfazione, no, no… Loro devono capire che tu sei più forte. –
    Anche la sua voce aveva un qualcosa di… non umano. Parlava lentamente, con voce monotona, come se stesse ripetendo una lezione.
    La guardai senza capire. Quegli occhi non mi dicevano nulla.
    Quello era il cielo in cui mi sarei avventurato e perso, ma in quel momento non era altro che un bel panorama da guardare affacciato alla finestra. Un cielo troppo lontano perché potessi comprendere i suoi segreti.
    - Non capisco di cosa sta parlando… -
    Il suo sorriso-non-sorriso si trasformò in un’espressione di vaga sorpresa. La sua voce si ridusse a un sussurro.
    - Sta parlando? Chi è che parla? –
    Non lo capivo neanch’io, chi stesse parlando.
    Se lo avessi saputo, non mi avrebbe fatto così paura.
    - Io e lei… no? –
    Ora guardava fisso davanti a sé, le sopracciglia aggrottate, gli occhi privi di espressione.
    - Lei… lei… chi è lei? –
    Non era a me che si stava rivolgendo. Parlava con i suoi diavoli interiori, ma anche questo, ancora, non lo sapevo.
    - Ehm… scusa, volevo dire… io e te. – Il suo viso si distese. Non sorrideva, ma sembrava come sollevata.
    - Io e te… -

    Una bambina.
    Sembrava una bambina spaventata.
    Era una bambina spaventata.
    Più spaventata di me.

    Cercai di riagganciarmi al discorso che lei stessa aveva iniziato.
    - Comunque, non è niente di grave. Devo fare solo un esame del sangue. Non sono così spaventato. –
    Bugiardo.
    Dovetti esserlo per una volta, prima di scoprire che con lei non avrei più potuto esserlo.
    - Non devi avere paura. Avere paura della paura è la cosa più… più… più peggiore. Perché non guarisci mai. Poi loro fanno finta di aiutarti, ma non lo fanno. –
    C’era una strana aria attorno a quel volto. Qualcosa che mi impediva di staccarle gli occhi di dosso.
    - Loro chi? –
    - Loro. Quelli che dicono che ti aiutano e poi non ti aiutano. Loro non vogliono che tu stai bene. Non vogliono perché non vuole nessuno, per nessuno, e allora neanche loro vogliono. –

    “La mancanza mi riempie l'anima,
    mi tiene in suo potere.
    La mia tristezza è dolce
    ma talvolta è come un altro carceriere.”



    Non vogliono perché non vuole nessuno.
    Quella frase mi risultò incomprensibile.
    Forse perché avevo due anni meno di adesso, ma lei era molto più adulta e allo stesso tempo molto più piccola e indifesa di me.

    L’ho rivista. Tante, tante e tante volte.
    E non ci volle molto tempo per capire quale astratta coincidenza ci avesse spinti lì, su quella panchina di quel parco di quell’ospedale.
    Per me era un caso, per lei una casa.

    Ancora non capite, eh?
    Neanch’io capivo.
    Neanche quando cominciai davvero a… capire.
    Oh, no, non sono pazzo. O forse sì. Non lo so più.
    Forse lo sono diventato per amore suo.
    Ma non siete gli unici a non comprendere, sapete?
    Nessuno l’ha mai capita. Nessuno ha mai capito cosa si celasse dietro quei due pezzi di cielo. Quel mare era troppo profondo, i suoi misteri erano troppo nascosti, le sue meraviglie erano celate ben più in fondo di quanto… loro… riuscissero ad afferrare.
    Chissà… magari sono io, con la mia presunzione di “sapere”, a ignorare quello che credo di conoscere.

    “Eppure quanta bellezza,
    perfino dentro il dolore
    ti vedo nel tuo splendore.
    Agli altri ti nascondi,
    ma qui
    appari avanti a me
    come un incanto che
    m'imprigionerà.”



    Quante volte li ho pregati di lasciarla stare. Di non usare quelle maniere forti con lei. Di considerare che anche lei aveva dei sentimenti e dei valori, ben più retti di quelli di molte altre persone.
    Era solo confusa, smarrita in quel mondo che non le apparteneva.
    - Perché fanno così? Perché non riescono a volersi bene? –
    Si poneva interrogativi troppo grandi per lei, per me, per chiunque. E io non seppi mai come risponderle.
    - Non lo so, tesoro. Ma forse non lo sanno neanche loro. –
    Lei mi guardava insoddisfatta. Frustrata. E quel cielo si oscurava.
    - Non è possibile. Se fai una cosa, sai perché la fai. Forse sono matti. –
    Io sorridevo. Non potevo farne a meno.
    - Già, forse sono matti. –

    Sarebbe passato, prima o poi.

    - Ora passa… ora passa. –
    Ogni tanto quel cielo minacciava pioggia. E poi venivano giù certe burrasche, certi temporali che solo più tardi imparai a domare.
    - No, non passa. Non passa. Non passa! –
    Era difficile interrompere quella cantilena, quel lamento straziante.
    - Sì che passa. -
    - C-cosa mi succede? Perché sono così? C-chi sono io? –
    Una risposta apparentemente insignificante bastava a rivoluzionare l’idea che lei aveva di sé stessa.
    - Tu sei tu. E non puoi desiderare di meglio. –
    Due finestre si chiudevano, il cielo scompariva. Un’ultima goccia di pioggia scivolava lungo la guancia morbida e arrossata.
    Posava la fronte sul mio petto e restava così, ferma, per minuti, ore.
    Era terribile vederla prendere coscienza di sé e di quello che era.
    O meglio, di quello che tutti pensavano che lei fosse.

    Quanta gente si è allontanata.
    Quante persone mi hanno guardato con disprezzo.
    - Sei pazzo anche tu. Sei diventato come lei. Come hai potuto ridurti così? –

    “È destino
    che non ci sia che tu
    a condannarmi e poi a salvarmi
    sempre più.”



    Gliel’avevo detto, io.
    Gliel’avevo detto, a loro.
    Loro, che si illudevano di farla stare meglio, erano talmente orgogliosi della loro presunta opera di bene da non accorgersi che la stavano distruggendo, ogni giorno di più.
    - Mi dia retta, la lasci stare dov’è. E’ la cosa migliore per lei. –
    - Questo lo credete voi. –
    - Lei è troppo coinvolto. Non è nelle condizioni di giudicare razionalmente cosa è giusto fare. –
    - Sì, forse è vero che sono troppo coinvolto. Ma voi non lo siete per niente. E’ questo il guaio. –
    - E’ inutile insistere. Tanto più che non ho nemmeno capito bene dove vuole arrivare. –
    - Voglio che la facciate uscire di qui. –
    Un bieco sorriso. Un ghigno saccente ed egoista.
    - Certo, per poi lasciarla in mezzo alla strada, in balia degli eventi. Mi sa che lei non si rende conto di quello che sta dicendo. Ma lo sa di chi stiamo parlando? –
    - Proprio perché lo so vi chiedo di permettermi di aiutarla. -

    Me lo permisero. A titolo di presa per i fondelli, ma me lo permisero.
    - Ti piace qui? –
    - E’… bello. E’ aperto, c’è tanta luce. –
    - Certo che c’è luce. E’ casa tua. –
    - Casa mia… - mormorò lei, chinando il capo. Percorse tutto il locale con lo sguardo prima di puntarlo nuovamente su di me. – Casa nostra. –
    - Sì. –
    Abbracciare quel corpo sottile, con la paura che potesse rompersi da un momento all’altro.
    - Casa nostra. –
    E quel cielo tornava a sorridere.

    “Schiavo d'amore
    io non mi libererò
    e già lo so che soffrirò…”



    Poi.
    Poi quel giorno.

    Quel “titolo di presa per i fondelli” non durò a lungo.
    A volte le crisi erano difficili da sostenere. E non potevo fare altro che alzare la cornetta, digitare quel numero e rivolgermi a loro.
    Loro che, dopo un po’, mi misero di fronte alla verità.
    Alla loro verità.
    - Non si può andare avanti così. Lei non è in grado di aiutarla. Non è all’altezza della situazione. –

    Questo lo credete voi.

    Ma fosse stata solo una loro convinzione, va bene, ok.
    Quella convinzione andò oltre, distrusse tutto quello per cui avevo sudato e penato.

    - La… la porterete via? –
    - Non è il caso di farla così tragica. Tornerà a stare dov’era prima. –
    - Ah… Potrò venire a trovarla, allora. –
    Lo sguardo che ricevetti in risposta non era certo paragonabile a un sì.
    - Penso che sia meglio evitarlo. –
    - Cosa… evitarlo… perché? –
    - Non vogliamo che sorgano ulteriori complicazioni. Il periodo che ha passato con lei di certo le ha fatto bene… per un po’. Ma poi, rivedervi, ricordare, cerchi di capire… le farà più male che altro. Sa com’è. –
    - No, non so com’è. –
    Me ne andai sbattendo la porta, ma non potei sbattere via i problemi.

    - Perché c’è quella macchina fuori dalla porta? –
    - Sono… sono venuti qui per te. –
    - Per me? Chi sono? –
    Non ho saputo rispondere. Così ho sviato.
    - Ti porteranno in un posto dove starai bene. Un posto nuovo, migliore di questa casa. –
    Bugie. Quel posto non era per niente nuovo. E lei non avrebbe faticato a capirlo.
    - Ma io sto bene qui. Sto bene con te. Perché devo andare da un’altra parte? –
    Già, perché?
    - Andrà tutto bene, piccola. Te lo prometto. -

    “Ma quella sofferenza cara mi sarà
    perché è con te che inizia
    e finirà.”


    E’ stato difficile frenare l’impulso di mettermi a correre dietro quella macchina.
    Ma se mesi e mesi di amore e fatica non sono serviti a niente, perché mai sarebbe dovuta servire una corsa dietro il tempo che fugge e ti lascia sempre indietro?
    Perché avrei dovuto sforzarmi di spiegare cose che non si possono spiegare?

    Non ho più recuperato quegli “amici” che mi avevano dato del pazzo. E anche se fosse? Dubito che servirebbe a qualcosa.
    Sembra proprio che niente serva a niente, eh?
    E’ triste fare considerazioni del genere quando puoi appena definirti “adulto”.
    Che lei fosse più adulta di me? Sicuramente.
    Perché si poneva interrogativi a cui nessuno si è mai sforzato di rispondere.
    Perché non le importava di tutte quelle cose che la gente comune etichetta come “essenziali”.
    Perché non ha mai chiesto niente alla vita, quando avrebbe avuto il diritto di pretendere molto di più.
    Perché viveva giorno per giorno, senza mai aspettarsi niente.

    Cavolo, parlo di lei come se fosse morta.
    Forse sto morendo io.
    E allora vai, idiota, alza la cornetta, chiama l’ospedale. Oppure, ancora meglio, infilati in macchina e vai, vai a trovarla, vai a vedere come sta.
    Ma sento che non sarebbe la cosa giusta da fare.
    Se venissi a sapere che sta meglio, giungerei alla conclusione che non sono davvero servito a nulla. E sarebbe insopportabile convivere con questa consapevolezza.
    Se scoprissi che sta peggio di prima, mi odierei perché non mi sono opposto quando me l’hanno portata via.
    Me l’hanno portata via… Come se fosse un oggetto di mia proprietà…
    Invece lei è libera. E’ unica. E’ vera.
    Ma non sarà mai sola.
    Un piccolo pensiero, ecco cosa le manderò… Qualcosa di intoccabile, irripetibile. Sarà lì con lei e non l’abbandonerà mai.
    Lancio un’occhiata fuori dalla finestra. Il cielo è sereno, non c’è una nuvola. Sembra quasi che sorrida…

    “Dovunque sei
    ti penserò
    e il mio pensiero forse ti raggiungerà
    perché nessuna forza mai
    lo fermerà.”







    Note
    L'ho scritta due anni fa, è stata la mia terza fanfiction, quando ancora scrivevo solo su qualche telefilm. Beh, è stato un po' come farmi da beta io stessa, perché ho corretto qualche parola nella primissima parte, mail resto lo lascio intatto, perché resta comunque un ricordo di cosa significasse scrivere solo per il piacere di farlo.
     
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  2. ;HachiBLOOD™
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    Bellissima *-*
    E ormai che sei bravissima te lo dico sempre xD
     
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  3. Vitto_LF
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    Credevo che non l'avrebbe mai letta nessuno XD

    Grazie *-*
     
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2 replies since 12/6/2009, 18:07   105 views
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