Love&Death

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    The Dark One

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    Note dell'autrice: e... buonasera Aliens! Stasera presenterò a voi la mia prima Twincest. Era da un po' che volevo scriverne una, ma, ahimé, il blocco dello scrittore non mi ha fornito molte... ispirazioni. Poi è venuta; piccola, ma è venuta. Mi sono un pochino ispirata a uno dei miei film preferiti "Ballata dell'odio e dell'amore" (o "Balada triste de Trompeta", in lingua originale), il resto è frutto della mia fantasia.
    Ah, da un certo punto di vista sarà anche un mezzo crossover, visto che inserisco due personaggi che con i Tokio Hotel non c'entrano nulla.
    Se volete dare un'occhiata all'altra fanfic che sto scrivendo, giusto per conoscere un pochino i co-protagonisti...
    Dream Machine Tour... Più o meno (dove, nell'ultimo capitolo postato, ho messo un mezzo annuncio su questa mia nuova storia...)
    P.S.: c'è qualcuno che fa ancora i banner? Non me ne dispiacerebbe uno per questa storia. Chi fosse interessato, mi contatti via messaggio privato.

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    Rating: NC17
    Avvisi: Adult Content, AU, Blood, Death Fic, OOC, Violence, Smut
    Genere: Triste, Malinconico, What if?
    Disclaimer: Tom e Bill non mi appartengono in nessun modo, così come i Tokio Hotel. Tutto ciò che è narrato in queste pagine è solo frutto della mia fantasia, e ovviamente non ci guadagno assolutamente nulla.

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    Love&Death





    "Nasce dall'uno il bene,
    nasce il piacer maggiore
    che per lo mar dell'essere si trova;
    l'altra ogni gran dolore
    ogni gran male annulla."


    (Giacomo Leopardi -Amore e Morte-)





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    No.I





    A volte la gente è costretta a indossare una maschera per difendersi dal mondo, dai suoi pregiudizi, dall’ipocrisia, talvolta per celare i segreti più reconditi, addirittura il proprio io; o peggio, per apparire ciò che più aggrada alle persone che ci circondano, smettendo di essere ciò che siamo davvero.
    Ma ci sono persone che, per dovere, sono costrette a indossare una maschera.
    Entrambi erano i casi dei fratelli Roberto e Gianluigi Carlone.
    Si stavano entrambi dipingendo il volto di bianco, all’interno del loro camper. Erano di fronte ad uno specchio grande abbastanza per entrambi. Sulla cornice erano attaccate varie foto, sia in bianco e nero che a colori, raffiguranti loro, in compagnia di altre persone. Ovviamente c’erano anche lo spazio cucina, due brande e un bagno, provvisto solo di doccia.
    -Voi siete quelli nuovi, giusto?-
    C’era un ragazzo, in loro compagnia. Doveva avere sui diciotto anni, dai particolari capelli color platino.
    Entrambi gli uomini annuirono, in silenzio.
    Tra di loro c’era una differenza di sei-sette anni: Roberto, infatti, aveva cinquantadue anni, mentre Gianluigi ne avrebbe compiuti quarantasei tra un paio di mesi, circa. Vi erano pochi segni di somiglianza tra di loro, fra cui il naso, aquilino e grosso, e il colore dei capelli, grigio scuro: Roberto aveva i capelli ricci, cui alcuni ciuffi cadevano sulla fronte ampia, gli occhi cerulei, volto pieno collo taurino e fisico corpulento, mentre Gianluigi era magro, mento leggermente più sporto in avanti rispetto a quello del fratello, corti capelli sulla via della bianchezza, sottile e piccolo pizzetto sul mento e occhi color del mare.
    -Primo giorno di lavoro?- proseguì il ragazzo -Nel senso… è la prima volta che lavorate in un circo? Scusate, parlo troppo veloce per voi? Riuscite a comprendermi?-
    Roberto posò la tinta rossa che si stava dando sulla bocca. Gianluigi stava continuando a passarsi la tinta nera sugli occhi.
    -Sì, è la prima volta qui da voi.- rispose il riccio, serio -E no, non è la prima volta che lavoriamo in un circo. Abbiamo circa venticinque anni di esperienza alle spalle.-
    Il ragazzo storse la testa, in un’espressione sorpresa.
    -Beh, davvero notevole… Una volta tanto abbiamo gente esperta qui...- alzò lo sguardo -Scusa, potresti passarmi quella forcina?-
    Roberto, continuando a restare serio, gli diede ciò che aveva richiesto: non fece nemmeno caso al fatto che gli avesse dato subito del “tu”. Ma sapeva che tra circensi funzionava così.
    -Vi mostro un piccolo trucco.- infilò la forcina nella serratura delle manette che indossava -Uno, due e tre.- in pochissime abili mosse era riuscito a liberarsi: persino Gianluigi si era voltato.
    Ma nessuno dei due Carlone rimase impressionato, come se non fosse la prima volta che vedessero una cosa simile. Tornarono di nuovo a fissarsi allo specchio, riprendendo a truccarsi.
    -Una cosa che fa sempre impazzire il pubblico, ma voi, a quanto, pare no.- notò il platinato -Comunque, io mi chiamo Andreas. Sono il mangiatore di spade.-
    -Roberto.-
    -Gianluigi.-
    Gianluigi aveva la voce più grave di Roberto; ma entrambi, dal tono in cui si erano presentati, davano come l’impressione di non gradire la presenza del ragazzo.
    -Cavoli, che nomi complicati…- commentò -E voi cosa siete? Nel senso, qual è il vostro ruolo?-
    -Siamo i pagliacci.- riprese Roberto.
    Andreas abbassò un sopracciglio e storse la bocca, scettico.
    -Siete sicuri? I pagliacci non facevano ridere?-
    -Infatti…- fu Gianluigi a parlare; aveva una lacrima nera disegnata sotto l’occhio sinistro -Lui è il pagliaccio scemo. Io gli faccio da spalla, sono il pagliaccio triste.-
    La reazione per poco non si rivelò una risata fragorosa. Ma il platinato si limitò ad uno sguardo buffo.
    -Beh, allora quello ti riesce benissimo, Gian… Gian… ti dispiace se ti chiamo solo Gian? Voglio dire, guardati: più triste di così si muore. Ma tu, Rob… hai detto che avete venticinque anni di esperienza, ma tu, con il tuo ruolo non ci incastri proprio.-
    Una cosa che entrambi i Carlone non sopportavano era la prepotenza dei giovani: non si conoscevano nemmeno da un giorno e quel ragazzo, Andreas, aveva già dato loro del “tu” e li aveva persino chiamati con dei diminutivi.
    Se non fosse stato per esigenza di lavoro, lo avrebbero già appeso ad un palo, a testa in giù.
    Berlino. Anno 2007.
    Da un camper, preceduti da un ragazzo dai capelli color platino, uscirono due uomini, vestiti da pagliacci: intorno a loro vi era un vero e proprio accampamento di camper, posizionati di fronte ad un tendone da circo.
    All’entrata c’era un cartello con scritto “Die Schwarze Sonnsystem”.
    -Venite, da questa parte.- li invitò Andreas; il suo dovere, infatti, era fare da guida ai nuovi arrivati e condurli al direttore. Ecco perché era nel loro camper.
    I Carlone erano già vestiti da pagliacci, per il loro colloquio. Roberto aveva una camicia a quadri marroni e arancioni, salopette verde pino e scarponi gialli e neri. Indossava un cappello a cilindro con parrucca rossa incorporata, e il naso rosso a fischietto che completava il trucco, composto da tinta bianca, area della bocca rossa delimitata da una linea nera a forma di triangolo con il vertice verso il basso, un disegno a forma di stella e un cerchio sugli occhi e due cerchi rossi sulle guance. Gianluigi, invece, aveva un completo bianco che ricordava un abito maschile settecentesco a causa del colletto e dei polsini, con dei grossi bottoni neri davanti, dei calzoni lunghi fino al ginocchio, calze bianche e mocassini con un tacco basso, cappello a punta e trucco meno impegnato del fratello, sopracciglia nere, lacrima nera sotto l’occhio sinistro e labbra rosse su tinta bianca.
    -Laggiù ci sono dei trapezisti…- indicò Andreas, mentre camminava, seguito dai due fratelli -Là alcuni animali e lui è Oliver, l’uomo forzuto.- c’era, infatti, un recinto con dei cavalli all’interno -Lei è Natalie, la nostra contorsionista e donna-serpente.- i Carlone rimasero a fissarla, quasi interessati; aveva un abito aderente che metteva in risalto le sue forme, specie nella posizione a “C” che stava assumendo; a uno ad uno presentò tutti i membri del circo -E quello lassù è Georg, l’uomo cannone.-
    Infatti, da sopra un’impalcatura, un ragazzo sui vent’anni era entrato dentro un cannone: si intravedeva la testa, coperta da un casco bianco con una striscia rossa.
    -Ehi, Andi!- salutò, a gran voce -Sono quelli nuovi, quelli con te? Gli italiani?-
    Roberto, accennando un sorriso, lo salutò con la mano.
    -Ciao, io sono Roberto. Lui è mio fratello Gianluigi.-
    -Cavoli, che nomi complicati che avete!-
    -E’ quello che ho detto anch’io, poco fa.- aggiunse Andreas, senza fermarsi.
    -Voi chi siete?-
    -Siamo i pagliacci. Lui è quello scemo e io quello triste.-
    -Perché lui ha un bell’abitino e io questa ridicola tutina bianca che mi fa sembrare uno spermatozoo?- domandò Georg, indicando chi gli aveva appena risposto, ovvero Gianluigi.
    Andreas sospirò: -Schorschi, quante volte te lo devo dire? Il nero non è adatto, ricorda troppo un cannone vero e in altri colori è ridicolo. Il bianco è il colore adatto.-
    L’altro non sembrava molto convinto.
    -Mah, sarà…- tornò ad osservare i due italiani -Beh, posso dire, però, che voi due parlate molto bene tedesco?-
    -Grazie.- ringraziò Gianluigi, senza sorridere.
    Improvvisamente, qualcosa atterrò entrambi i fratelli, prima che qualcosa di umido toccasse i loro volti.
    -Neo! Rosalind! Tornate qui!- urlò una voce maschile.
    Un pitbull e un labrador si allontanarono dai due pagliacci. Per fortuna, non avevano rovinato il trucco.
    Al trio si unirono altre due persone: un ragazzo biondo, di corporatura robusta, vestito con un cappello a cilindro e uno smoking con le code a righe grigie, e una ragazza grassa, bionda anche lei, con indosso un abito nero a spalline nere, un boa piumato fucsia e una fascia con una piuma sulla testa.
    Avevano entrambi un cane di piccola taglia in braccio, lui uno yorkshire e lei un barboncino, mentre intorno a loro girarono altre razze di cani, tutti vestiti con un tutù.
    -Ah, questi cani…- imprecò il ragazzo, osservando chi aveva accanto serrando le labbra -Ti fanno impazzire.-
    Ma lei non gli diede ascolto: si limitò a sorridere ai nuovi arrivati.
    -Non ascoltate mio fratello.- disse, gentilmente -Brontola sempre.-
    Andreas si schiarì la voce, per riportare il tutto alla normalità. In realtà, si sentiva in imbarazzo quanto i Carlone, che ancora non si erano rialzati, sgomenti dalla quantità di cani cui erano circondati.
    -Rob, Gian, loro sono Gustav e Franciska. Sono gli ammaestratori dei cani.-
    -Io volevo una foca.- riprese il ragazzo biondo, scontroso.
    Franciska sospirò, come se non fosse la prima volta in cui avesse udito una cosa simile.
    -Gus, le foche costano troppo, quante volte te lo devo dire?-
    -A una foca basta una palla per tenerla a bada. Sto impazzendo con tutti questi cani.-
    -Non ascoltatelo, signori.- disse lei, nuovamente rivolta ai Carlone.
    -E come se non bastasse, dormono anche con noi.-
    -Ma perché devi sempre rivelare gli affari nostri ai primi che passano?!-
    -Non è così, Ciska? I cani dormono con noi.-
    Il platinato li osservò scuotendo la testa, mentre continuavano a litigare.
    -Una cosa che non vi ho detto è che dovrete fare l’abitudine alle liti di Gustav e Franciska. Litigano anche di notte fonda, svegliandoci tutti.-
    Ma i nuovi arrivati non ascoltarono le sue parole: qualcosa aveva attirato la loro attenzione, spingendoli a rimanere ancora fermi per terra.
    Non appena i cani si erano distolti da loro, qualcos’altro aveva sfiorato i loro volti: due nastri.
    Un nastro a testa, Roberto quello bianco e Gianluigi quello nero. Entrambi attaccati ad un palo a forma di “T”, dalla sbarra superiore mobile.
    Stavano ondeggiando, come onde sul mare. In controluce, videro due figure, la ragione di quel movimento.
    Con un braccio si tenevano al nastro, mentre l’altro lo tenevano dietro alla schiena, tenendo salda la parte del nastro che si erano avvolti alla vita. Stavano entrambi roteando nel medesimo modo, nella medesima direzione.
    Una sincronia perfetta, una grazia perfetta, un movimento perfetto. Anche i capelli seguivano quel movimento.
    -Ehi, state bene?- domandò il platinato, preoccupato per i nuovi arrivati.
    I Carlone si rialzarono, senza smettere di osservare in alto, ammaliati: non avevano mai visto niente di più perfetto nelle loro vite.
    Le due figure smisero di girare; scivolarono verso il basso, girando su loro stesse, srotolando la parte del nastro che avevano avvolto sulle loro vite; aiutandosi sia con le gambe che con una mano, fecero attrito, fermandosi, rimanendo con la testa verso il basso. Incurvarono le loro schiene, assumendo una posizione più aggraziata.
    Finirono faccia a faccia con i nuovi arrivati, sorridendo a loro, senza dire una parola.
    Erano due ragazzi. Di circa diciotto anni. Vestivano due tute aderenti del medesimo colore del nastro cui erano aggrappati.
    Gianluigi si ritrovò davanti quello vestito di nero. No, sembrava una ragazza. Capelli corvini lisci con qualche ciuffo bianco alle punte e occhi a mandorla con la palpebra mobile completamente colorata di nero. Sulla parte sinistra del contorno del suo volto c’erano dei disegni neri che ricordavano i petali di un fiore. Scorse persino un piercing sul sopracciglio sinistro. Quello di fronte a Roberto, invece, aveva i capelli biondi raccolti in lunghi dreadlocks, piercing sul labbro, anche lui profondi occhi leggermente a mandorla color nocciola, sulla cui palpebra fissa vi era un tocco deciso di ombretto bianco, e anche lui aveva dei disegni di petali di fiore, ma bianchi e sulla parte destra del suo volto.
    La sbarra cui i loro nastri erano attaccati girò, facendo distogliere gli sguardi dei Carlone dai due ragazzi.
    Gli uomini scossero la testa, tornando alla realtà.
    -Scusaci…- fece Roberto, rivolgendosi ad Andreas -E’ che… non avevamo mai visto una sincronia così perfetta nei numeri sul nastro…-
    Andreas sapeva di chi stesse parlando.
    -Oh, dimenticavo i pezzi grossi del nostro circo.- si ricordò -Loro sono gli acrobati, Bill e Tom. I loro numeri fanno letteralmente impazzire la gente, praticamente sono loro che ci mantengono. E, strano ma vero, sono gemelli, per forza la loro sincronia è perfetta.-
    Gianluigi cadde come dalle nuvole. Si voltò verso il platinato, prima di seguirlo.
    -Ah, sono… entrambi ragazzi…?- domandò, un po’ deluso, soprattutto dallo scoprire che la persona con cui aveva incrociato il suo sguardo fosse un ragazzo. Si vergognò leggermente ad aver pensato degli apprezzamenti nei suoi confronti.
    Anche Roberto rimase sorpreso da quella rivelazione.
    -Gemelli?- domandò, infatti.
    Andreas sospirò.
    -Non siete gli unici ad esserci cascati.- spiegò -Bill è sempre un po’... come posso dire…? Ginandro, ecco. Tutti lo scambiano per una ragazza e ci rimangono di sasso quando scoprono che in realtà è un ragazzo.-
    -Ma hai detto che sono gemelli.- riprese Roberto, un po’ scettico –Eterozigoti, vero?-
    -No, no, proprio omozigoti!- fece il ragazzo, voltandosi verso i Carlone e camminando all’indietro -Lo so perché ho visto una foto di quando erano piccoli e vi assicuro che sono IDENTICI! Hanno solo stili differenti, tutto qui. E cosa più importante, sono i figli del direttore del circo.- altra cosa che sorprese i due fratelli pagliacci -Ora muovetevi, prima che lui esca fuori e ci cerchi di persona. Non è un tipo molto paziente. Ah, ci siamo, questo è il camper del direttore, Jörg Wieger.-
    Da un camper, infatti, si levarono delle urla di rabbia: dei nani vestiti da pagliacci volarono letteralmente fuori, atterrando sul fango. Per fortuna, non si fecero del male. Più che altro, era lo spavento.
    -IN CULO I NANI!- si udì dall’interno -IO LI ODIO I NANI! COSA ME NE FACCIO DI QUELLA GENTE?! LI SCHIACCEREI TUTTI!-
    Quell’urlo fece allarmare i Carlone. Era una voce forte, grave, autoritaria. Il tipo di voce adatto a tenere in riga le persone.
    -Signor Wieger, la prego, non faccia così.- si aggiunse, sempre dall’interno del camper –Sono pur sempre persone che hanno bisogno di lavorare. E in tutti i circhi ci sono i nani.-
    -E allora che trovino lavoro da un’altra parte! Io non li voglio nel MIO circo! Mi fanno schifo con quel testone grosso e le gambe storte!-
    Andreas e i due pagliacci si fermarono, a pochi passi dall’entrata del camper del direttore. I nani erano già scappati via.
    -Signor Wieger, mi permetta di dire che lei è troppo schematico.-
    La risposta si rivelò uno schiaffo, a giudicare dal rumore.
    -Lei non ha alcun diritto di giudicare il mio modo di lavorare!- concluse Jörg, con voce ferma e severa –Questo è il MIO circo e le regole le gestisco io, chiaro?! E ora, lei e quei nani del cazzo ve ne andate dalle palle, sono stato chiaro?! Se vedo anche solo la sua ombra, signor Hoffman, non chiamo la polizia, giuro che la ammazzo!-
    Sembrava un tipo molto complicato. E anche facilmente tendente all’ira. Gianluigi e Roberto dovevano fare il possibile per assecondare le sue aspettative.
    Il platinato, dopo aver deglutito, attese che l’ospite del direttore uscisse per far entrare i nuovi arrivati.
    L’uomo appariva deluso, ma anche impaurito.
    Questo fece incuriosire i due fratelli.
    Andreas scostò una tendina di perline, prima di precederli nel camper.
    -Signor Wieger…?- fece, con voce flebile –Io…-
    -Cosa vuoi, Andreas?-
    Un forte odore di sigaro stava uscendo dal camper.
    -Qui fuori…- il suo tono era tremante –Ci sono quelli nuovi… i pagliacci…-
    -Sì, falli entrare.-
    La testa platinata spuntò dalla tendina. Fece cenno ai Carlone di entrare, con la mano.
    All’interno, l’odore di sigaro era più forte, pungente, tanto da dare l’impressione di perdere il senso dell’olfatto da un momento all’altro.
    Il trio accedette in un salottino, sedendosi su un divanetto, con un tavolino in mezzo a loro, su cui c’era un piatto di pasta, una bottiglia di birra e un bicchiere vuoto.
    Dietro un’altra tenda di perline si scorgeva una sagoma: un uomo. Il sigaro che stava fumando era ormai al termine.
    -Non capisco perché la gente continui a consigliarmi stupidi nani…- borbottò, prima di uscire dall’altra stanza –Non servono a niente…-
    I Carlone ebbero modo di inquadrarlo: era più giovane di loro, ma il volto scavato e le rughe già profonde, seppur poche, lo rendevano più vecchio della sua età. Corti capelli del color della notte, probabilmente tinti, occhi glaciali, più chiari di quelli di Roberto, dallo sguardo severo, e volto dai tratti duri.
    Era vestito in borghese, maglia a maniche corte che metteva in mostra le sue braccia magre e pantaloni mimetici larghi.
    Si sedette sul divanetto di fronte agli ospiti, cominciando a mangiare il suo piatto di pasta.
    -Allora, che volete?- domandò, prima di portare una forchettata di penne alla bocca.
    Andreas era molto teso: Jörg, effettivamente, incuteva timore.
    -Signor Wieger, loro sono i nuovi pagliacci. Non ricorda di aver letto i loro curricula vitae e acconsentito a farli lavorare qui…?-
    -Sì, sì.- tagliò corto l’uomo. I due uomini non si scomposero di fronte a lui, né mostrarono segni di titubanza alla sua presenza –Venite dall’Italia, giusto?-
    Entrambi annuirono, con lo sguardo basso, ma non per paura.
    -Mi piacciono gli italiani.- mormorò Jörg, continuando a mangiare –Sono simpatici e altrettanto spontanei. Entrambe buone qualità per fare i pagliacci.- i loro sguardi si incrociarono –Come vi chiamate?-
    -Roberto.-
    -Gianluigi.-
    -Cognome?-
    -Carlone.- rispose Roberto, indicando sia se stesso che il fratello.
    -Siete imparentati?-
    -Fratelli. Lui è il minore.-
    -Nei vostri curricula ho letto che avete più di vent’anni di esperienza.-
    -Sì, facevamo parte di una compagnia circense itinerante, prima di venire qui.- rispose Gianluigi, tornando a guardare in basso, ogni tanto accennando una risata –Ci chiamavamo “La Vercelli Itinerante”.-
    -“La Vercelli Itinerante”…- ripeté Jörg, versandosi della birra nel bicchiere –Non mi sembra un nome molto originale…-
    -Ci chiamavamo così, perché venivamo tutti da Vercelli, o meglio, la maggior parte. Mi rendo conto che non è bello come “Die Schwarze Sonnsystem”, ma piacevamo al pubblico e guadagnavamo molto.-
    -E perché non siete più con “La Vercelli Itinerante”?-
    -Un incendio.- rispose Roberto, serio, guardando in faccia chi aveva di fronte –Un incidente, forse, non sappiamo come spiegarlo. Ha distrutto il circo e le nostre famiglie e i nostri colleghi sono periti. Noi siamo sopravvissuti per miracolo.-
    -Due soli sopravvissuti in un incendio… Una cosa un po’ strana e sospetta, signor Carlone, non trova?-
    Roberto si morse entrambe le labbra.
    -Sono riuscito a salvare solo mio fratello.- rispose, senza cedere a quello sguardo severo –Volevo salvare anche gli altri, ma era troppo tardi.-
    Gianluigi gli strinse la mano, per dargli forza, senza farsi vedere da Andreas o da Jörg.
    -Molto toccante. Quando è avvenuto questo fatto?- domandò quest’ultimo.
    -Un anno fa.-
    -Quindi siete rimasti soli.-
    -Sì.-
    Vi fu un breve momento di pausa: il direttore bevve il suo bicchiere, senza smettere di fissare i due pagliacci.
    -Parlate molto bene tedesco. E riuscite anche a comprendermi.- notò.
    -Passavamo spesso in Germania, con la nostra compagnia circense.- spiegò il pagliaccio scemo –Abbiamo avuto modo di imparare la vostra lingua.-
    -E ditemi… cosa facevate nella vostra vecchia compagnia circense?-
    Fu Gianluigi a rispondere. Non alzava mai lo sguardo e si toccava spesso la fronte, come per grattarla.
    -I classici numeri di clowneria.- spiegò –Lui fa qualcosa, io lo aiuto, oppure mi lancia torte, oppure mi dipinge il volto e io mi vendico per esempio abbassandogli i pantaloni. Ogni tanto ci intrufolavamo nei numeri degli altri e davamo sfogo all’improvvisazione. Con gli acrobati, per esempio, lui voleva che entrambi saltassimo sulla leva, io mi rifiutavo, fingendo di soffrire di vertigini, e mi aggrappavo a lui, e lui cercava in tutti i modi di staccarmi. O ancora, sempre durante i numeri degli altri, ci travestivamo da cavernicoli, entrambi con le maschere da scimmia, e li disturbavamo. Le nostre prede preferite erano i giocolieri e il direttore. Il pubblico rideva sempre nei nostri numeri.-
    -Se vi azzardate a fare una cosa simile con me, vi licenzio.- tagliò corto Jörg –Per il resto… dire cosa sapete fare non vale niente per me. Quello che conta è la pratica. Quello che mi avete detto sull’improvvisazione ha stimolato la mia curiosità. Saper far ridere non è semplice, ma se dite che i vostri numeri facevano ridere allora potrebbe funzionare. Potreste farmi una dimostrazione, appena usciamo di qui tutti insieme?-
    -Anche subito, signore.- rispose Roberto, sicuro.
    -Un’ultima cosa…- anche Gianluigi alzò lo sguardo, incrociando i suoi occhi marini con quelli glaciali, a quel tono –Perché, di tutti i ruoli del circo, voi avete deciso di fare i pagliacci?-
    I Carlone osservarono in basso per pochi secondi.
    Fu il maggiore a rispondere.
    -Perché è una cosa che ci piace e perché non sappiamo cosa altro fare nella vita. No… perché non sappiamo proprio fare altro nella vita.-
    La risposta non sembrò convincere il direttore.
    -Un motivo stupido quanto banale…- commentò, infatti, battendo il bicchiere di birra sul tavolo –Voi sapete, invece, perché io dirigo un circo?-
    Entrambi i Carlone scossero la testa, seri.
    -Perché se non fossi un direttore, sarei un assassino.-
    Quella frase non sembrò sconvolgere, tantomeno impaurire i due italiani.
    -Anche noi.- rispose Gianluigi, serio e con aria fredda, anche a nome del fratello.
    Andreas sentì il sangue gelare nelle vene e non solo per quanto aveva appena udito: nessuno aveva mai tenuto testa a Jörg in quel modo.
    I due nuovi arrivati sembravano tipi tenaci.

    Ottennero il posto.
    Dal giorno seguente avrebbero fatto parte della compagnia “Die Schwarze Sonnsystem”.
    Quella sera, cenarono tutti in una birreria lì vicino.
    I Carlone furono gli ultimi ad arrivare. I colleghi erano seduti in un tavolo accanto alla finestra.
    Ma nessuno della compagnia sembrava attenderli, soprattutto Jörg. Aveva una bottiglia di birra in mano, mentre nell’altra aveva un sigaro. Assunse un’aria delusa, appena vide i due italiani avvicinarsi al tavolo.
    Li aveva riconosciuti anche senza trucco.
    Roberto indossava un maglione di lana color crema, con al collo una cordicella con attaccati un paio di occhiali a montatura leggera, mentre Gianluigi indossava un pullover nero. Entrambi avevano un paio di jeans e scarpe da ginnastica.
    -Chi ha invitato i due pagliacci?- domandò il direttore, tra i denti.
    Andreas si morse un labbro.
    -Le chiedo scusa, signor Wieger…- mormorò –Sono stato io. Mi sentivo in colpa a lasciarli soli…-
    I due italiani erano ormai al tavolo. Presero posto tra Gustav e Oliver, l’uomo forzuto.
    -Buonasera.- salutarono entrambi, prima di sedersi.
    C’erano anche i cani dei fratelli Schäfer.
    I due gemelli acrobati, Bill e Tom, erano seduti accanto al padre, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. Osservarono entrambi i Carlone, accennando loro un sorriso.
    Questi ultimi ricambiarono lo sguardo: faceva uno strano effetto vederli nella loro versione “borghese”, ma erano ugualmente belli. Erano come illuminati di una luce propria. Bill aveva indosso una maglia a maniche lunghe a righe orizzontali nere e bianche e jeans stretti. Gli occhi erano contornati da uno strato spesso di matita nera, intravisti dai capelli neri lisci che cadevano sul volto, quasi nascondendolo. Tom, invece, era come avvolto in abiti larghi tre se non quattro volte più larghi di lui: felpone bianco, jeans XXL fermati da una cintura marrone, e dreadloks legati in una coda che spuntava dal cappellino con la visiera.
    Non si notava alcuna somiglianza con il padre Jörg.
    -Ehi, la sapete quella del padre nel reparto maternità?- domandò questi, alzandosi. Era nei fumi dell’alcool: durante la serata e durante le portate aveva bevuto almeno tre bottiglie di birra. Per questo era di buon umore.
    Alcuni scossero la testa.
    -E’ fortissima!- lo appoggiò Andreas, anche lui ubriaco.
    -Zitto, tu!- l’uomo prese il pollo che gli avevano appena servito, avvolgendolo nel suo tovagliolo –Allora, c’è un uomo al quale è appena nato il figlio, ma tra le culle non riesce a riconoscere il suo, allora l’infermiera glielo porta e lui è tutto contento. “Oh, che bello questo figlio!” fa, ma, all’improvviso, l’infermiera…- schiacciò il pollo contro il vetro del ristorante con forza -… sbatte il neonato contro il vetro. Il padre, scioccato, esclama: “Disgraziata! Cosa ha fatto a mio figlio?!” e lei “Oh, non si preoccupi, tanto il bambino è nato morto!”.-
    Si misero tutti a ridere, anche i gemelli.
    Tutti tranne i Carlone.
    Non era chiaro se quello che si poteva scorgere nei loro volti fosse un’espressione di disgusto o inquietudine, ma osservarono i colleghi uno ad uno: essendo pagliacci, conoscevano le risate, a tal punto da saper distinguere le risate vere da quelle false.
    E quelle dei colleghi erano risate false, quelle forzate, quelle fatte solo per non dare un dispiacere a chi aveva fatto o raccontato qualcosa di divertente.
    Questo era soprattutto il caso dei gemelli: non ridevano, sorridevano e basta, ma erano ugualmente sorrisi falsi.
    La barzelletta non era una vera barzelletta: era puro humor nero.
    -E la madre?- domandò Roberto.
    Le risate si interruppero all’istante.
    Gli sguardi conversero su di lui.
    Jörg alzò le sopracciglia, con aria delusa.
    -Come, prego?- domandò.
    -La madre.- ripeté l’italiano –Se c’è un bambino, allora deve esserci anche una madre, no?-
    Gianluigi osservò il fratello e poi il direttore con aria impassibile.
    -E se posso dire anch’io la mia…- aggiunse –Non vedo cosa ci sia di divertente in una storia dove un bambino muore…-
    Gli sguardi degli altri, prima esprimenti divertimento, seppur falso, ora erano come in allarme, come se temessero qualcosa da Jörg. Anche i gemelli stavano provando la stessa cosa.
    L’uomo sospirò, tornando a sedere.
    -Andreas…- mormorò, senza osservare a chi stava rivolgendo la parola –Lo sai, no, cos’è che non sopporto?-
    Il platinato sentì lo stomaco gelarsi appena udì il proprio nome. Mancava poco entrasse in iperventilazione.
    -L’insubordinazione…?- rispose, con un filo di voce, stringendosi sulle proprie spalle.
    -No! Non solo quella!- tuonò il direttore, facendo un movimento fulmineo –I coglioni! Ecco chi non sopporto! I coglioni! E i coglioni non li voglio a cena con me! Dovrebbero mangiare da soli! Complimenti, signori Carlone, mi avete rovinato la cena!-
    Roberto abbassò lo sguardo, percependo uno strano senso di colpa. Gianluigi abbassò le sopracciglia, ma contro Jörg, non contro il fratello.
    Anche Tom li stava osservando: non era chiaro se il suo sguardo esprimesse ammirazione o delusione. Tuttavia, accennò un lieve sorriso.
    -Papà…- disse –Sono nuovi, in fondo. E poi, si sa, il senso dell’umorismo cambia di paese in paese.-
    Jörg fece di nuovo un movimento scattoso, infuriato.
    -NON MI INTERESSA!- tuonò, dandogli un lieve schiaffo di dorso sul naso; Tom sobbalzò, coprendosi il naso con la mano e i due Carlone si allarmarono; non videro sangue, quindi la botta non doveva essere stata forte –ORA UNO NON PUO’ PIU’ DIRE NIENTE CHE DUE COGLIONI HANNO SUBITO DA RIDIRE! VOI DUE SARETE ANCHE I PAGLIACCI, MA QUESTO NON VI DA’ IL PERMESSO DI DIRE A ME COSA FA RIDERE O NO! A ME! IL VOSTRO DIRETTORE! RICORDATE TUTTI CHE SONO IO CHE VI MANTENGO! VI HO DATO UN LAVORO! VI HO DATO UNO SCOPO DI VITA! SENZA DI ME SARESTE TUTTI SOTTO UN PONTE A MORIRE DI FAME! E QUESTO E’ IL RINGRAZIAMENTO?! VOI DUE FARETE RIDERE NEL PALCOSCENICO, MA FUORI DI LI’ DECIDO IO COSA FA RIDERE! IO! IO!-
    Bill, sorridendo cortesemente, prese una mano del padre, mentre con l’altra gli lisciava i capelli.
    -Papà, hai di nuovo bevuto troppo…- aveva la voce leggermente più acuta di Tom, dal tono quasi effemminato.
    Ma lui lo staccò da sé.
    -NON TI AZZARDARE A DIRE CHE HO BEVUTO TROPPO! IO BEVO QUANTO CAZZO MI PARE! NON SEI IL MIO TUTORE! SEI MIO FIGLIO! E ANCHE TU LAVORI PER ME! QUINDI STAI ZITTO!-
    Nessuno osò più dire qualcosa.
    Anche nel volto di Bill si leggeva la paura, forse più di quella che si leggeva nei volti dei presenti. Appoggiò un gomito sul tavolo, prima di mettere la testa sulla mano, tremando leggermente.
    Tom lo osservava con premura.
    -E comunque, la barzelletta non è piaciuta nemmeno a me!- esclamò il moro, quasi balbettando.
    Rapido, il padre gli diede un manrovescio sul naso, più forte di quello del fratello, facendolo cadere dalla sedia. Era bloccato dall’angolo del ristorante.
    Questo sconvolse ancor più i Carlone, che sgranarono gli occhi chiari.
    -NON TI E’ PIACIUTA?!- esclamò Jörg, calciandolo più volte sullo stomaco, senza curarsi dei suoi lamenti –E COME MAI, EH?! E’ DI CATTIVO GUSTO?! SE NON TI STA BENE QUELLO CHE FACCIO O DICO, TE NE VAI, CHIARO?!-
    Tom ebbe una sincope e il cuore si fermò, ma restò come paralizzato. Gli altri si voltarono, meno i due italiani, che si alzarono, pronti a intervenire. Ma il biondo, con lo sguardo e un gesto della mano, li invitò a non farlo, come per timore che il padre avrebbe recato ancora più dolore al gemello.
    Ciò che li sconvolse davvero, però, non erano tanto le percosse di Jörg contro Bill quanto le reazioni degli altri circensi: non facevano niente, per paura del direttore. Si limitarono solo a guardare da un’altra parte.
    Ma i due fratelli non potevano sopportare quello spettacolo a lungo; i lamenti del ragazzo moro li avevano presi nel cuore.
    -Basta, signor Wieger!- esclamò Roberto, aggrottando le sopracciglia; non riuscì a sembrare minaccioso, ma almeno Jörg si fermò –E’ suo figlio!-
    -Appunto perché è mio figlio che deve avere rispetto per me.- ribatté l’uomo, tornando a sedere, con aria furiosa; Bill fu lasciato all’angolo, privo di sensi; il sangue stava scendendo dal suo naso, raggiungendo le labbra –Se un figlio non ha rispetto per i propri genitori, merita di essere punito!-
    Tornò il silenzio nel ristorante. Per fortuna, era rimasta solo la compagnia circense.
    Il direttore si alzò, prendendo la propria giacca.
    -Torniamo al circo.- decise; poi, indicò Bill, ancora incosciente –Se qualcuno osa aiutarlo, verrà punito gravemente.-
    Il suo sguardo era fisso su Tom, che serrò le labbra e aggrottò le sopracciglia.
    Un’altra cosa che sconvolse i nuovi arrivati.
    -Cosa…?!- fece Roberto –Lo lasciamo qui? Ma il circo è lontano e la strada è buia! E se gli capitasse qualcosa o lo chiudessero qui dentro?-
    -Fosse per me, può anche essere portato via dai drogati.- fu la risposta, brusca; ricevette sguardi minatori da parte dei Carlone, ma lui non se ne curò –E comunque… la madre non c’è. Ringraziate il fatto di essere nuovi, altrimenti vi avrei subito licenziati. Presto imparerete come vanno le cose qui, e, soprattutto, chi è che comanda…-
    Uscirono tutti dalla birreria. Nessuno osò nemmeno osservare Bill.
    Fuori dalla birreria, Jörg cambiò radicalmente umore: da furioso era tornato di nuovo ad essere allegro.
    -E sentite questa: cos’è un pessimista? Un ottimista male informato.-
    Risero di nuovo tutti alla sua battuta.
    -Anch’io ne conosco una!- aggiunse Georg. Aveva i capelli lunghi, bruni e lisci e il volto quadrato. –Ci sono un inglese, un italiano…-
    -Ah, stai zitto!- tagliò corto il direttore –E’ la stessa che dici da quando sei qui!-
    -Non è vero! E’ un’altra!-
    Tom, Roberto e Gianluigi erano rimasti indietro. Non avevano riso alla battuta. Guardavano in basso, colmi di rancore, soprattutto il ragazzo.
    Anche lui aveva sofferto non poco ai lamenti del gemello: quando il padre lo calciava, anche lui sentiva le percosse.
    No, non poteva lasciarlo lì, nella birreria. Non aveva alcun timore della minaccia del padre.
    Alzò la testa, determinato, e, senza farsi sentire dagli altri, tornò indietro.
    Bill scosse la testa in un movimento fulmineo, tossendo. Non riusciva a muoversi. Il dolore allo stomaco stava lievemente affievolendosi. Qualcosa di caldo stava scendendo dal suo naso e sapeva che era il suo sangue. Si leccò le labbra, pulendole da esso. Anche i suoi denti superiori ne erano sporchi.
    -Billi!-
    Tom.
    Era rientrato appena in tempo.
    Non c’era nessuno nella birreria, nemmeno i gestori, ma la porta era ugualmente aperta.
    C’erano solo i gemelli.
    -Tomi…- sussurrò l’altro, mettendo a fuoco la sagoma di chi aveva di fronte. Si sollevò, appena vide il volto del fratello –Perché sei tornato…? Papà potrebbe punirti per questo, lo sai…?-
    -Non mi interessa…- fu la risposta del gemello, mentre lo aiutava a rialzarsi –Ormai non sento più le sue percosse. Fanno parte di me. Le preferisco al pensiero di te, da solo, nel buio.-
    Osservò Bill, con aria premurosa e tenera. Gli toccò una guancia.
    -Stai bene?- domandò –Ti ha fatto di nuovo tanto male?-
    Si sentì male a vedere il sangue sul volto angelico di Bill.
    Questi scosse la testa, silenzioso.
    -Almeno non ti ha rotto il naso…-
    Non poteva più vedere quel sangue: stava già per portarsi un pollice alla bocca, quando si fermò, osservando il gemello negli occhi. Gli stava comunicando qualcosa, mentalmente. I suoi pensieri, i suoi desideri. E Tom comprese cosa volesse veramente.
    Avvicinò il suo volto al suo.
    Pulì la zona tra il naso e le labbra con la lingua, leccando lentamente il sangue ivi presente.
    Dolce. Lo assaporava come fosse miele, o un nettare divino.
    -Tomi…- mormorò l’altro, con voce sensuale e gli occhi chiusi; stava sorridendo lievemente –Credo di averne anche dentro la bocca…-
    Tom sorrise quasi malizioso: ecco quello che voleva veramente. I suoi occhi glielo stavano comunicando. Senza pensarci due volte, leccò anche le sue labbra, per poi baciarlo, esplorando con la lingua ogni centimetro della sua bocca e giocando con il piercing che aveva sulla lingua.
    Bill lo stringeva a sé, mentre indietreggiava lentamente, finendo con la schiena alla finestra.
    L’altro ricambiò l’abbraccio, facendo scendere le mani verso la fine della maglia. Gli toccò la schiena, scoprendola e sfiorandola con le dita. Dopodiché, si staccò dalla sua bocca per baciargli lentamente il collo.
    Il gemello rese la presa più salda, mugolando di piacere a quei tocchi e a quei baci, soprattutto quando il suo naso gli sfiorava la gola.
    Abbandonò la sua schiena, passando al torace: lentamente, tirò verso il basso la zip del felpone di Tom, per poi toglierglielo e lasciarlo per terra. Gli baciò il collo, lentamente, per poi mordicchiargli il lobo dell’orecchio.
    Anche Tom mugolò.
    Bill si abbassò sulle proprie ginocchia, alzando la maglia XXL indossata dal fratello, scoprendo i suoi addominali. Li baciò, andando sempre più in alto, alzando, di conseguenza, la maglia. Alla fine, Tom se la tolse, per assecondare il fratello: aveva un corpo muscoloso, nonostante il fisico snello.
    Gemette, mordendosi le labbra, quando la lingua di Bill gli sfiorò un capezzolo, tracciando più volte la circonferenza dell’areola.
    Questi tornò verso il basso, baciando nuovamente gli addominali, ma non si fermò lì: slacciò la cintura, per poi sbottonargli i pantaloni, che caddero per terra. L’erezione si scorgeva dai boxer bianchi.
    Le dita di Bill sfiorarono con malizia quella sporgenza, con un leggero e lento movimento circolare.
    Ciò aumentò l’eccitazione dentro Tom. Non tanto quanto il suo pene entrò a contatto con l’aria fredda.
    Ma subito qualcosa di caldo lo avvolse: era la bocca del gemello. La sua lingua gli stuzzicò il glande, facendolo ansimare e curvare la schiena. Fu lui, in quel momento, ad indietreggiare: tornò al tavolo, sedendosi su di esso. Sarebbe stato più semplice, per Bill, proseguire ciò che aveva iniziato.
    La sua mano reggeva la base, ogni tanto sfiorava i testicoli con il mignolo.
    Il pene entrava sempre più nella sua bocca: alternava i succhi alle leccate, in un ritmo perfetto.
    La lingua ne circondava la circonferenza, in un movimento fluido.
    Tom gli prese la testa, per dargli il ritmo.
    I mugolii divenivano sempre più forti.
    Erano soli.
    No, qualcuno c’era: dall’esterno, i fratelli Carlone avevano gli sguardi più sorpresi che sgomenti.
    Anche loro erano tornati indietro per aiutare Bill: avevano visto tutto dal momento in cui Tom aveva leccato il sangue dal volto del gemello.
    -Ma allora… quei due hanno quel tipo di relazione…- mormorò Roberto, sottovoce.
    Gianluigi non sapeva cosa dire.
    Stava ripensando a quanto era avvenuto poco prima: lo schiaffo e i calci che il direttore aveva dato a Bill aveva lasciato loro come un segno indelebile nei loro cuori.
    Ma quei baci, quegli atti lascivi… non sapeva se essere scioccato, sorpreso o indifferente.
    Era confuso, spaesato.
    -Robi…- disse, con un filo di voce –Credi che…?-
    Il fratello lo interruppe.
    -Non lo so, è ancora troppo presto.- rispose, serio, staccando per un attimo gli occhi di dosso ai gemelli –Intanto attendiamo e studiamo bene la situazione generale. Poi vedremo cosa fare.-



    bill_et_tom_kaulitz_3_by_crayon2papier





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    Note finali: non sono molto brava a descrivere "quel" tipo di scene, ma ho fatto del mio meglio.

    Edited by I.H.V.E. - 9/8/2018, 23:35
     
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