Bloodphobia.

AU, Angst, Horror, Hurt/Comfort, Romantico, Twincest – Not Related

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  1. jadethjrlwall
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    Titolo: Bloodphobia.
    Autrice: jadethjrlwall
    Rating: R
    Genere: AU, Angst, Horror, Hurt/Comfort, Romantico, Twincest – Not Related
    Avviso: Adult Content, Blood, Humiliation, Violence, OOC
    Disclaimers: Non possiedo nè i Kaulitz nè i Tokio Hotel, tutto ciò che ho scritto è frutto della mia fantasia perversa e non ci guadagno nemmeno un centesimo, sigh.
    Trama: Tom ha paura del sangue, Bill ne è dipendente dopo un sanguinoso episodio.

    Note iniziali: uhm, salve a tutte :) questa è la prima FF che pubblico qui, quindi siate clementi (ve ne prego cc). vorrei ringraziare la mia splendida beta (ha accettato di fare da beta solo a me mpfht) che ha avuto chissà quanta pazienza a correggermi tutti i congiuntivi (grazie troia mia:)♥). quindi, godetevi questa FF frutto della mia mente malata e... nulla, ci vediamo alle note finali.

    Prologo.




    La prima cosa che pensò Tom appena arrivato a casa da scuola fu 'facciamo in fretta'. Si richiuse la porta alle sue spalle e vide passare la madre davanti a lui senza degnarlo di uno sguardo. Posò con poca delicatezza lo zaino sul tavolo e si sedette sul divano, poggiando i piedi sul tavolino davanti ad esso. “Metti i piedi a terra, Tom.” lo riprese la madre e sbuffò, ma fece come ordinato.

    La madre si guardò allo specchio che c'era nell'atrio e si mise il rossetto di un debole rosso, si girò verso il figlio e lo guardò a lungo. “Sei pronto?” gli chiese e il ragazzo annuì. Si alzò svogliatamente e raggiunse la madre, che gli sistemò la maglia larga mentre una smorfia compariva sul viso del figlio. “Sto facendo tutto questo per te, Tom caro.” disse e si avviò verso la porta, seguita a ruota da Tom che la richiuse.

    Simone aprì il garage e entrò, uscendone poco dopo con la BMW rossa che le aveva regalato il marito l'anno precedente. Tom salì a bordo e guardò la ventiquattrore della madre sui sedili posteriori. La donna si allacciò la cintura di sicurezza e Tom la imitò. “Mamma, io non credo che—“ iniziò, ma Simone lo interruppe.

    “Tom, sto facendo questo per il tuo bene. Voglio che tu segua il mio esempio e diventi medico, vedrai che non è poi così male. Ora ti porto a lavoro per farti vedere come funziona, d'accordo?” disse la donna, mise la macchina in modo e partirono in volta dell'ospedale. Tom sospirò rumorosamente e si spalmò più che poté sul sedile. “Io l'avevo detto a Gordon, non comprargli quella dannatissima chitarra! Ma mica mi ha ascoltato? No, ovviamente no.” Tom alzò gli occhi al cielo, ecco che sua madre ricominciava con quel discorso inutile e senza senso.

    “Mamma, ti ho detto che sì, amo suonare la chitarra, ma non voglio diventare un chitarrista. Tranquilla, non mi darò all'alcool e alle droghe.” la rassicurò per quella che era la millesima volta in una settimana. “E poi lo sai che ho paura del sangue, perchè devi costringermi a fare quel fottuto lavoro?” chiuse gli occhi cercando di ricacciare le lacrime mentre un brivido lo percosse da capo a piede.

    “Non parlarmi così, Tom! E poi, non vorrai vivere con quella paura per sempre, vero Tomi? Sai che dovrai affrontarla, prima o poi. Sei solo troppo pigro per farlo.” disse e Tom sbuffò di nuovo. Anche gli uomini più forti scappavano di fronte le loro paure, e lui non era un'eccezione. “Fare il medico sarà il metodo per farti passare l'emofobia. Stare a contatto col sangue ogni giorno ti aiuterà a combatterla.”

    “Oppure mi aiuterà a morire.” sussurrò Tom incrociando le braccia al petto, ma Simone lo ignorò e parcheggiò nel parcheggio alla destra dell'immacolato ospedale. Scesero dalla macchina ed entrarono nell'edificio. C'era così tanto bianco che feriva gli occhi, uomini e donne vestiti di verde o bianco salutavano la madre che ricambiava a stento. Salirono le scale ed arrivarono al primo piano, entrando poi in un corridoio lungo, bianco e pieno di porte. Le porte erano tutte chiuse ed erano tutte di un giallo accecante, Tom sentì un altro brivido. Quel posto gli metteva l'ansia. Al centro del corridoio c'erano una serie di poltroncine color verde chiarissimo, dove una ragazza carina dai capelli lunghi, lisci e mori e il trucco abbondante vi era seduta. Forse non era stata del tutto cattiva l'idea di venire lì.

    Una signora bassina si avvicinò alla madre e al figlio e li salutò, soffermandosi sulla donna. “Dottoressa Trumper,” disse con voce stridula. “C'è bisogno di lei per un prelievo.” Tom strabuzzò gli occhi mentre la madre annuì, annoiata. La signora sorrise gentilmente e le fece strada verso la seconda porta gialla a destra.

    Tom seguì la madre davanti la porta. “Entri o no?” gli chiese e lui scosse velocemente il capo.

    “Preferisco rimanere qui, grazie dell'invito.” disse ironico e si andò a sedere su una delle poltrone, vicino alla ragazza mora, mentre la madre borbottava qualcosa come 'fai come vuoi'. Si concesse dei secondi per osservare la ragazza: aveva le gambe accavallate e le braccia incrociate e fissava un punto non preciso davanti a sé. Era vestita interamente di nero, dai jeans strettissimi che le fasciavano le gambe alla perfezione, alla maglia a maniche corte che indossava sopra una giacca informale. Era un po' piatta, sì, ma era perfetta. Cominciò a torturarsi le mani fissandosi i piedi e sentì la conversazione tra la madre e la paziente. L'infermiera stava ora domandando alla donna se potesse iniziare col prenderle la vena. Raggelò sul posto e continuò a torturarsi le mani. Ma chi gliel'aveva detto di venire?

    “Smettila di essere nervoso, mi stai passando il nervosismo, Cristo.” sbottò la ragazza accanto a sé senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. Tom la guardò a lungo ma lei non ricambiò il suo sguardo nemmeno una volta.

    “S-scusa, è che ... ho paura di vedere del sangue.” disse guardandosi intorno, come se un fiume di sangue potesse uscire all'improvviso da una di quelle porte gialle. “Non amo particolarmente il sangue.” spiegò, per non essere preso per pazzo.

    La ragazza finalmente si girò a guardarlo e alzò il sopracciglio. “E come mai?” disse interessata. “Il sangue è vita.” Tom fece spallucce e la ragazza continuò a guardarlo con un sopracciglio alzato. Che individuo buffo e strano. “Sai che nel tuo corpo hai litri e litri di sangue?”

    Tom si fermò e rimase immobile a fissare il pavimento bianco. “N-non...” cercò di dire e scosse il capo. “Non dirlo, mi viene voglia di...di...” chiuse gli occhi e cercò di ritornare a respirare in modo normale. “Di morire.” spiegò una volta ripresosi. Ogni volta che qualche tizio intelligente gli diceva 'Hai paura del sangue? Ne hai a bizzeffe dentro di te!' gli veniva voglia di aprirsi in due solo per far scivolare via da sé tutto il sangue che aveva, per poi sedersi in un angolo tutto sporco di quella sostanza rossa.

    La mora alzò le spalle e continuò a guardare quel punto indefinito. “Per fortuna che non sei una ragazza.”

    “Perché?” gli chiese il rasta assumendo un'espressione interrogativa. “Oh. Oh! Quello! Sì...” esclamò dopo aver capito quello che intendeva la ragazza. Ma da quando il discorso si era incentrato sulle sue paure? Aveva una bella ragazza a fianco e ora stavano parlando della sua stupida emofobia? “Comunque sono Tom.” le disse guardandola, ma la ragazza non ricambiò lo sguardo né disse niente.

    All'improvviso la porta gialla si aprì e uscì una signora bassina e con i capelli grigi, un vestito rosa addosso e sopra un cardigan viola. “B-Bill, possiamo andare ora.” disse debolmente la signora e la ragazza si alzò. Cosa? Bill? Allora era...un maschio! Tom strabuzzò gli occhi e guardò il ragazzo avviarsi verso la grande porta bianca alla fine del corridoio, seguito dalla signora.





    Note finali: anche io sono emofobica come tom, è davvero una tortura, cristo. beh, comunque spero che il prologo vi sia piaciuto. non so ogni quanto posterò, non prometto nulla. ora vi lascio, alla prossima :D
     
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  2. marty rock 97
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    Mi piace come inizio e sono sicuro che,con l'aggiunti di altri capitoli,man mano la storia diventerà sempre più interessante. Up.
     
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  3. vam zimmer 483
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    Sembra interessante come storia sono curiosa di scoprire il seguito!!
     
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  4. jadethjrlwall
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    Grazie a tutte per le recensioni e scusate per l'enorme ritardo :(


    Capitolo 1.




    Tom entrò nell'aula vuota, eccetto per i suoi amici Gustav e Georg. Andò in fondo e si posizionò il suo zaino sul banco vuoto che li divideva, poi si sedette. Gustav, alla sua sinistra, stava leggendo un libro e non si degnò nemmeno di salutarlo. Georg, alla sua destra, stava copiando i compiti di matematica dell'amico e, preso com'era dal copiare, non si era nemmeno accorto della sua presenza. “Sì, buongiorno anche a voi amici miei.” disse ed entrambi alzarono il capo nello stesso momento per guardarlo.

    “Tom! Quando sei entrato?” gli chiese Georg e Tom alzò gli occhi al cielo.

    “Com'è andata ieri? Sei svenuto o hai resistito da vero uomo?” gli chiese Gustav ritornando a leggere il suo libro. Il rasta si sporse per guardare il nome del libro, “La fisica dei supereroi”, libro interessante. Gustav rimaneva sempre il solito.

    “Mi sono tenuto lontano dal sangue.” ammise annuendo. Gustav continuava a pensare che avere paura del sangue e delle siringhe fosse da checca, ma Tom non sapeva esattamente perchè, non gliel'aveva mai chiesto. Ieri comunque era andata bene, non era successo nulla di così grave da implicare un intervento, quindi la madre non lo obbligò a seguire con attenzione nessuna operazione. “Sentite, oggi ho voglia di andare a trovare Stan.”

    Georg alzò lo sguardo dai suoi compiti di matematica e lo guardò. “Dici sul serio? Non vi odiavate, voi due?”

    Tom fece spallucce e iniziò a dondolarsi sulla sedia. “Sì, c'è un rapporto di odio e amore tra me e lui. Ma è da tanto che non gli rompo le palle e non vorrei che si fosse dimenticato di me.”

    “Nessuno potrebbe dimenticarti, nemmeno se volesse.” borbottò Gustav ma il rasta lo ignorò.

    Si alzò dalla sedia e guardò i suoi amici, uno intento a leggere e l'altro intento a copiare i compiti di matematica. “Siete due casi persi.” sussurrò. “Dai, andiamo.” e si avviò verso la porta.

    *


    Iniziò a correre e saltò sulle spalle del ragazzo alto e muscoloso che si trovava di fronte a lui. Cercò di tenersi come meglio poteva sulle sue spalle mentre il biondo borbottava qualche insulto contro di lui. “Ehi, Stan, come ti butta la vita?” disse Tom prima di decidere che era arrivato il momento di scendere. Il biondo si girò e gli sorrise prima di attirarlo in un rude abbraccio, per poi battergli una mano sulla schiena.

    “Tom! A volte sparisci, a volte compari.” disse con un'alzata di spalle. “Comunque tutto bene, e a te?” si girò giusto in tempo per vedere una moretta affrettarsi per entrare nell'edificio. “Senti, Tom, c'è uno nuovo.” disse senza aspettare una risposta alla domanda precedente e Tom si fece più interessato. Uno nuovo? Strano.

    “Uhm, davvero?” domandò e il ragazzo con gli occhi verdi annuì.

    “Sì, io e il mio gruppo volevamo picchiarlo, ora.” indicò alle sue spalle tre ragazzi dai capelli castani che si stavano passando una canna. “Sai che è il trattamento che riservo a tutti quelli nuovi.”

    Tom ghignò. “Tutti tranne me.”

    “Con te è stato diverso, okay?” disse e prima che Tom potesse ribattere con un 'è perchè sono più forte di te', Stan parlò di nuovo. “Dove le hai lasciate le due G?”

    Il rasta sorrise a quel nomignolo e alzò le spalle con aria innocente. “Gli ho chiesto di venire ma hanno rifiutato, credo che stare da soli gli farà bene. Sai, per i loro sentimenti e tutto.” Stan rise e Tom accennò un sorriso.

    “Si vede lontano un miglio che sono cotti l'uno dell'altro. Quando si metteranno insieme, giurami che daremo un grande party.” scherzò l'amico e Tom annuì, poi si fece di nuovo serio. “Allora, c'è questo nuovo, Kaulitz, mi pare, che assomiglia davvero tanto ad una ragazza, per di più carina.” alzò le sopracciglia e guardò Tom. “Non sai quanto mi piacerebbe picchiarlo a sangue.”

    Tom si fece attento e interessato. “Allora andiamo. Ma ti prego, fermati prima che esca il sangue.” si girarono e si avviarono verso l'ingresso, dove il moro che stava osservando prima Stan stava fumando nervosamente una sigaretta.

    Il biondo rise e mise una mano sulla spalla di Tom. “Come dimenticarsi della tua stupidissima fobia del sangue?” il ragazzo corrugò le sopracciglia e mosse la spalla in modo che la mano di Stan cadesse.

    Quando si avvicinarono, il ragazzo li guardò attentamente e si soffermò sul rasta. Doveva aveva già visto quel viso? Ma soprattutto, cosa volevano quei due idioti da lui? “Come posso aiutarvi?” gli chiese, decidendo di usare un tono gentile.

    Tom, che sembrava come ipnotizzato da quel ragazzo che aveva davanti, scosse il capo ritornando coi piedi per terra. Quel ragazzo era lo stesso di ieri, quello nell'ospedale. Sapeva che era abbastanza etero da non poterlo pensare, ma cazzo, quel ragazzo era bellissimo. I capelli che gli ricadevano sulle spalle erano più lisci del giorno precedente, aveva indosso un pantalone della tuta aderente nero, un maglione leggero nero e ai piedi delle semplici Converse basse nere. Era come se quel ragazzo non conoscesse nessun colore eccetto il nero, che gli donava comunque moltissimo. “Stan, non credo di volerlo più fare.” disse scuotendo il capo e guardò il biondo, sotto lo sguardo confuso di Kaulitz.

    Stan ricambiò il suo sguardo. “Uhm, okay, allora ciao.” disse alzando le spalle e Tom indurì di poco lo sguardo.

    “Non hai capito.” iniziò, il tono di voce severo. “Se non lo faccio io non lo farai nemmeno tu.”

    Stan corrugò la fronte e si girò completamente verso di Tom, il ragazzo moro che li fissava senza capire nulla. “Non intrometterti, Tom. Cristo, è sempre stato compito mio e lo sai! Non puoi venire qui e dirmi di non farlo, perchè sai che lo farò lo stesso.”

    “No che non lo farai.” disse Tom e si girò anche lui completamente verso il biondo. “Non costringermi a...” non finì la frase che il biondo sbuffò.

    “Non voglio combattere con te, cazzo. Cosa ti è preso? Non ti sei mai lamentato.” il fatto è che nemmeno Tom in persona sapeva cosa stesse succedendo. Semplicemente non voleva picchiare né veder picchiato quel ragazzo, di cui non si ricordava nemmeno il nome perchè non si erano davvero mai conosciuti. Ma la signora anziana l'aveva chiamato Bill e quindi immaginò che quello fosse il suo nome.

    “Nemmeno io voglio combattere con te, perchè semplicemente non ti arrendi e basta?” il biondo aprì le gambe preparandosi a tirargli un pugno, ma prontamente Tom si abbassò evitandolo e scivolò tra le sue gambe, si rialzò in fretta e gli catturò le mani, portandogliele dietro alla schiena e tirandole un po', in modo che l'orecchio di Stan fosse più vicino alle sue labbra. “Un secondo e mezzo, ci ho messo di meno stavolta per farti fuori.” sussurrò e sorrise soddisfatto, lasciando poi andare il ragazzo, che gli rivolse un'occhiataccia prima di andare via.

    “Sembravi più debole ieri.” disse il moro guardando il ragazzo biondo che stava scomparendo dietro l'edificio.

    Tom rise e gli sorrise. “Sembravo.” disse e si mise le mani sui fianchi, Bill gli fissò le mani grandi. “Comunque non mi hai detto come ti chiamavi ieri.” gli ricordò e il ragazzo lo guardò negli occhi, si disse di non concentrarsi su quella parte del corpo che amava negli uomini.

    “Bill.” disse e gli porse la mano, desiderando solo di costatarne le qualità. Il rasta gli sorrise e Bill non ricambiò, le sue mani, dio, erano qualcosa di...

    “Ciao Bill, sono Tom.” Tom riportò la mano sul suo fianco e Bill sopprimette una smorfia. “Che classe hai, ora?”

    Bill frugò nella sua tracolla nera che solo ora Tom si accorse di avere e cacciò fuori un foglietto tutto strapazzato. “Tedesco.” disse, accartocciò di nuovo il foglio e lo rimise nella tracolla.

    Tom si aprì in un enorme sorriso, Bill non seppe definire se buono o cattivo, prima di dire:”Oh, allora andremo nella stessa classe!” Bill aveva già posizionato Tom nella lista della persone che non gli piacevano.


    *


    Quando Bill entrò in classe accompagnato da Tom, i loro compagni di classe fissarono prima il rasta e poi lui, domandandosi perchè quella bella ragazza fosse con Tom. Che fosse il suo nuovo giocattolo? Tom lo trascinò agli ultimi banchi mentre una professoressa bassa e vecchia si accingeva ad entrare. Senza molte cerimonie Bill fu presentato ai due ragazzi, amici di Tom, che lo accolsero subito nel loro gruppo.

    La signora Saer si accomodò dietro la cattedra ed aprì il registro, fermandosi poi al nome del moro. “Kaulitz, Kaulitz, dove sei, Kaulitz?” lo chiamò e vide Tom ridacchiare come tutta la classe, quella doveva essere la pazza di turno. Bill alzò la mano e tutti si girarono dietro verso di lui, che continuò a guardare la signora seduta dietro la cattedra. “Oh, bene, vieni qui e presentati, su.” lo incitò e si alzò lentamente, attraversò l'aula e si fermò vicino la cattedra, girandosi verso i suoi compagni e fulminandoli con gli occhi.

    “Ehm, io sono Bill.” borbottò e mentre i ragazzi rispondevano un 'Ciao, Bill!' gli sembrò tanto di essere alla riunione degli alcolisti anonimi dove una volta l'aveva trascinato sua madre. Non era più successo dopo quella volta, comunque. “Ho diciassette anni e...” si interruppe pensando a qualcosa da dire ma non trovò nulla. “Beh, questo è tutto.”

    “Avanti, Kaulitz,” disse la professoressa congiungendo le mani sul grembo.

    Bill sbuffò e alzò gli occhi al cielo. “Prima vivevo a Loitsche, un piccolo paesino sperduto in mezzo alla campagna, e ora abito qui a Berlino perchè...uhm...” dirgli il vero motivo per cui si era trasferito lì era fuori questione, non voleva che lo prendessero per pazzo, allora decise di mentire, dicendo una solita battuta dei film. “Per motivi di lavoro.” chiuse gli occhi e quando li aprì guardò la signora. “Può andar bene?” disse con una nota di sarcasmo nella voce che comunque la professoressa non colse.

    “Bene, può andare a posto.” disse e Bill alzò gli occhi al cielo e tornò a sedervi vicino a Tom. Gustav era rimasto al suo posto vicino alla finestra, e alla sua destra aveva ancora Tom, ma il posto di Georg era stato rubato da Bill. Il ragazzo dovette, purtroppo, mettersi davanti Gustav. “Ora facciamo un po' di ripetizione per il signorino Kaulitz, in fondo siamo ad ottobre, non abbiamo fatto poi così tanto.” Prese il suo quaderno dalla tracolla mentre i tre ragazzi discutevano animatamente di qualcosa che Bill non volle capire.

    “Tu sei completamente idiota!” esclamò Georg durante la lezione. “Sai che se tuo padre viene ancora a conoscenza delle tue risse—”

    “Lo so, lo so.” disse Tom liquidandolo con un gesto della mano. “Mi rinchiude in un collegio svizzero, lo so.” Bill non stava partecipando alla conversazione, stava solamente facendo passare lo sguardo da Tom a Georg a Gustav senza proferire parola. In realtà non sapeva che dire, aveva immediatamente posizionato quei due ragazzi nella lista delle persone che non gli piacevano, sotto il nome di Tom. La suddetta lista era piena di nomi, mentre non sapeva se fosse mai esistita la lista opposta, quella delle persone che gli piacevano.

    “Tuo padre è proprio figo.” disse Georg stringendo la mano sinistra a pugno. “Il signor Trumper spacca!” Tom sospirò e poggiò la testa sul banco, Bill capì che aveva a che fare con quei due idioti tutti i santissimi giorni.

    “Ehm, hai l'hobby delle risse?” gli chiese, sentendosi in dovere di spiaccicare parola.

    Tom mormorò qualcosa che nessuno capì, quindi Gustav decise di rispondergli al suo posto. “Tom ha l'hobby di tutto tranne delle risse, Billy.”

    Bill strabuzzò gli occhi e si girò lentamente verso Gustav. “Scusa, come mi hai chiamato?” sbatté un paio di volte le palpebre e vide Gustav girarsi per guardarlo con un sopracciglio alzato. “Il mio nome e Bill.”

    “Lo s—“

    “Il mio nome è Bill.” ripeté, scandendo bene le parole. “Niente nomignoli.”

    Tom, che aveva assistito a tutta la scena, decise di mettere fine a quella scenata imbarazzante. Alzò il capo e diede delle pacche amichevoli alla schiena di Bill. “Rilassati, Bill.” gli disse sorridendo ma Bill incenerì con lo sguardo prima lui e poi il suo braccio.

    “Non toccarmi.” soffiò e guardò Tom negli occhi finché non tolse la mano dalla sua spalla. Guardò il suo quaderno di tedesco e prese svogliatamente qualche appunto. Doveva mettere in chiaro un paio di regole.


    *


    Quando entrò nella mensa, tutti gli occhi furono puntati su di lui. Alzò gli occhi al cielo e seguì in silenzio Tom, che gli aveva rotto le palle finché Bill, stanco a morte, non gli aveva urlato:'E va bene! Mi siedo al vostro fottuto tavolo in mensa!'. Tom aveva sorriso soddisfatto, seguito da Georg e Gustav, ma Bill avrebbe voluto sprofondare. Non alzava mai il tono di voce, doveva essere davvero esasperato per farlo, e si sentiva male ogni volta che lo faceva. Tom doveva capire che Bill non era un manichino, il suo manichino, e che quindi non faceva sempre ciò che voleva.

    Prese il vassoio e chiese alla vecchia di bidella di mettergli il purè e un po' di carne, e poi si sedette al tavolo di Tom e i suoi amici, che era proprio al centro della sala. “C'è un motivo per cui voi stiate così al centro?” domandò debolmente iniziando a girare la forchetta nel purè e assaggiandone un po'. Faceva schifo.

    Tom alzò le spalle e tagliò la sua lasagna. “Siamo popolari, qui.” spiegò e Bill lo guardò a lungo. “E c'è un motivo per cui tu abbia deciso di mangiare quella schifezza?” Bill aveva creato una nuova categoria nella sua mente: persone che non gli piacevano, persone che gli piacevano e Tom. Tom era una persona strana, era tutto ciò che aveva appreso su di lui in queste poche ore. Era più irritante degli scimmioni che considerava amici, si impicciava un po' troppo dei fatti suoi e non smetteva di fargli domande. Cose che Bill odiava. Rimaneva invece incantato dalle sue mani. Pensò che suonasse la chitarra, altrimenti non avrebbe spiegato i calli sulle sue dita. Erano così grandi e forti, da quello che aveva potuto vedere.

    “Sì, in realtà fa schifo.” ammise e assaggiò la carne, ma faceva schifo uguale. Allontanò il vassoio da lui con lo stomaco brontolante ma non intenzionato a finire quel pranzo. Tom tagliò la sua lasagna e porse la forchetta a Bill, che la guardò a lungo. Cosa? Tom gli stava...cosa?

    “Assaggia, è buona.” spiegò e Bill dischiuse le labbra intorno alla forchetta guardando Tom che ricambiò il suo sguardo. Gli sorrise dolcemente mentre tirava via la forchetta dalle labbra e Bill iniziò a masticare, aveva ragione Tom; era buona. Tom continuò a mangiare come se Bill non avesse mai poggiato le sue labbra sulla forchetta, per quanto ne sapesse lui poteva anche avere qualche malattia mortale. “Vedi Bill, devi imparare a riconoscere ciò che c'è di commestibile in questa mensa. Il purè di patate e la carne non sono uno di quelli, insieme ai broccoli.” spiegò e Bill continuò a guardare la lasagna di Tom con lo stomaco brontolante.

    “E nemmeno la lattuga, quella fa veramente vomitare.” aggiunse Georg e Bill si morse inconsciamente il labbro. Quando Tom sbuffò, portò il suo sguardo su di lui.

    “Ho capito, prendi la mia, vado a prendermene un'altra.” disse Tom alzandosi e poggiò il piatto davanti a Bill, che prese le forchette usate in precedenza da Tom e iniziò a mangiare felice. Sì, Tom aveva una categoria tutta sua solamente perchè non sapeva in quale delle due metterlo.

    *

    Quando quel giorno Tom tornò da scuola, la casa era immersa in una strana ma piacevole tranquillità. Da quando i suoi genitori avevano divorziato, quel silenzio c'era sempre. Prima, appena tornato da scuola, sentiva sempre delle piacevoli melodie provenienti dalla fidata chitarra di suo padre, ma ora, a meno che sua madre non avesse il turno di pomeriggio, sentiva solamente un rumoroso silenzio che gli faceva male alle orecchie. Sospirò e chiuse la porta alle sue spalle, buttando lo zaino sul divano. Andò in cucina e trovò sua madre intenta a limarsi le unghie, aprì il frigorifero e prese a bere l'acqua dal collo della bottiglia.

    “Tom, non dimenticarti che oggi devi andare da tuo padre.” le ricordò la madre mentre si soffiava sulle unghie, cercando di far asciugare lo smalto grigio che vi aveva applicato. “Oggi faccio il turno di notte, quindi dovrà accompagnarti lui a casa. Almeno farà qualcosa di produttivo.”

    Tom alzò gli occhi al cielo; odiava quando sua madre parlava male di Gordon, non gli sembrava giusto, anche perchè il padre non si permetteva di dire nulla di cattivo sull'ex coniuge. “Si, mamma, me lo ricordo.” disse annoiato e rimise la bottiglia nel frigo, chiudendolo.

    “E portati i libri, così fai i compiti, invece di suonare sempre.” borbottò e si passò il pennello sulle unghia. “Suonare la chitarra non ti porterà da nessuna parte.”

    Tom sbuffò sonoramente e si sedette sul bancone bianco della cucina, lasciando che i piedi dondolassero. “Mamma, ti avrò detto tremila volte che—”

    “Non vuoi fare il chitarrista, sì, sei palloso, Tom.” lo interruppe la madre e il ragazzo strabuzzò gli occhi. Chi era il teenager ribelle, qui? Lui! Era lui che doveva rispondere così alla madre, non viceversa. E comunque era Simone quella che insisteva con la storia del fare il medico. “Com'è andata oggi a scuola?”

    Il rasta ci pensò su un po'. Com'era andata oggi a scuola? Pensò a Bill e la litigata con Stan. “...Bene.” sussurrò, ma sapeva che la madre l'aveva sentito. “È arrivato questo ragazzo nuovo, Bill, che...si trucca, porta i capelli lunghi e...sembra proprio una ragazza. Ma credo siamo sulla buona strada per diventare amici.” disse orgoglioso, amava avere nuovi amici.

    “Bravo, tesoro. Bisogna accettare le diversità.” le disse saggiamente la madre mentre continuava a limarsi un'unghia, senza degnare di uno sguardo il figlio, che però seppe che la donna lo stava realmente ascoltando.

    “Ma è strano. Intendo, a parte il suo aspetto esteriore. Passa dall'essere incazzato nero con te senza una ragione all'essere felice in un battibaleno, così. Cioè, non so se mi sono spiegato bene.” disse gesticolando con la mano.

    “Certo che non ti sei spiegato bene, Tom.” le disse la madre asciugandosi un'unghia. “Il tuo tedesco fa schifo.” Tom sorrise a testa bassa. Quella di fronte a lui era pur sempre sua madre, non poteva di certo parlare così apertamente con lei. Simone alzò lo sguardo all'orologio e poi ritornò a mettersi lo smalto. “Sono le cinque e mezzo, va a prepararti, altrimenti tuo padre chi lo sente?” disse e Tom si alzò per avviarsi nella sua camera.

    *

    “Ehi, Bill.” disse debolmente Zene non appena Bill varcò la soglia di casa. “C-Come è andata la scuola?”

    “Bene.” disse freddo Bill prima di salire sulle scale, sentì Zene sospirare sconfitta ed entrò in camera sua. La sua camera era un po' una bolla di cristallo, era il suo posto ideale: lì poteva nascondersi dalle persone, rifugiarsi quando il mondo reale lo stancava, lì poteva essere se stesso senza che nessuno lo giudicasse. La sua camera, messa gentilmente in ordine da Zene, non era poi così grande ma a lui andava bene, gli spazi piccoli lo facevano sentire più protetto. Buttò la tracolla su letto con le trapunte grigie ed entrò nel bagno della sua stanza. Ringraziò sua madre Zene per avergli fatto un bagno privato e collegato esclusivamente alla sua camera.

    Aprì il cassetto delle medicine e lo guardò a lungo, il suo sguardo si posò inevitabilmente su un tubetto di dentifricio intatto. Si tolse il maglione che aveva addosso e lo buttò con noncuranza a terra, guardandosi poi ogni suo minimo taglio. Le sue braccia, dai bicipiti ai polsi, erano interamente ricoperte da tagli più o meno profondi, si passò il dito sinistro sull'ultimo taglio fatto e sorrise inconsciamente. Era così bello avere quel segno sotto le dita. Scostò il tubetto di dentifricio e prese una piccola lama leggermente arrugginita, Sabine. L'aveva presa quando aveva dodici anni, si ricordava ancora di che colore era il temperino da cui l'aveva tolta, verde. Alzò il braccio sinistro e premette la lama sulla pelle, per poi muoversi verso destra così da formare un piccolo taglio sul bicipite. I suoi tagli erano abbastanza profondi da fargli uscire molto sangue, ma non tanto da lasciargli cicatrici, non gli sarebbero piaciute.

    Il sangue iniziò a scorrere e sorrise alla sua vista, asciugandolo con la lingua e sentendo il suo sapore metallico in bocca. Cristo, non si sarebbe mai e poi mai stancato del dolce sapore del sangue. Più tardi altri quattro tagli abbastanza profondi comparvero sul suo bicipite, solo per il gusto di assaggiare quella sostanza. Si sedette a terra e poggiò la testa contro il muro, mentre aspettava che il bruciore passasse. C'era qualcosa di più bello del sangue?

    *

    “Tom! Tom! Tom! Per fortuna tua madre non ti ha rincretinito, pensavo che mi venissi a trovare con un camice bianco!” gli urlò suo padre nelle orecchie mentre lo stringeva forte, in modo che non potesse respirare.

    “Mai mi vedrai con un camice bianco.” sussurrò con la voce spezzata e solo allora Gordon decise di lasciarlo. Gli sorrise mentre il padre lo invitava ad entrare nella sua piccola ma bellissima casa. Nonostante la casa con sua madre fosse bellissima, ampia e da ricchi sfondati, preferiva più quel cottage interamente in legno. Forse perchè si sentiva più a casa. Le pareti erano in legno, così come il pavimento. Tom entrò nel salotto e si buttò sul divano con stampe scozzesi, mentre suo padre lo raggiungeva più tardi con due lattine di birra in mano, gliene porse una. Portò le mani in avanti scaldandosi con il fuoco e poi si spalmò sul divano aprendo la birra. Gordon era sempre stato un tipo molto aperto, capiva i giovani ed era un'anima ribelle. Tom si era sempre chiesto come avesse fatto un tipo libertino come lui ad innamorarsi di quella vipera della mamma e viceversa. La madre era un tipo dedito al lavoro, a cui dedicava la maggior parte del tempo, e in un certo senso odiava avere del tempo libero.

    “Tomi, ti ricordi quella casa qui a fianco?” gli chiese il padre indicandosi dietro le spalle con un pollice, Tom bevve un sorso della birra.

    “Quella che volevamo comprare per farne un bordello per prostitute?” disse ridacchiando al ricordo di quella conversazione e il padre annuì prima di ridacchiare anche lui.

    “Esatto.” disse e bevve un lungo sorso della sua birra, imitato dal figlio, prima di continuare. “L'hanno affittata certi tizi, “ alzò le spalle un po' irritato. “Che ne dici se dopo li andiamo a trovare? E magari gli rinfacciamo anche di aver distrutto il nostro sogno.”

    Tom sorrise all'idea magnifica che aveva avuto il padre e si alzò. “Andiamo ora? Amo rinfacciare alla gente di aver distrutto il nostro sogno!” Gordon imitò il figlio e gli ricambiò il sorriso, eccitato allo stesso modo. Aveva proprio ragione Simone quando gli diceva che Tom aveva preso tutto da lui.

    “Vai in cucina, nel forno ci dovrebbe essere la torta che tua madre mi ha portato l'altro ieri. Non l'ho assaggiata, le torte di tua madre fanno schifo.” fece una linguaccia e Tom obbedì, in effetti la torta era rimasta così come gliel'aveva portata lui. “È brutto andare a rimproverarli senza portare qualcosa, no?” disse Gordon comparendo sulla porta della cucina e aiutò il figlio a sistemare la torta, mettendola su un grosso piatto e coprendola con della carta argentata. Uscirono dalla casa e il padre prese le chiavi prima di chiudersi la porta alle spalle e seguire il figlio, che si stava avviando verso la piccola casa con le pareti color crema.

    Si avvicinarono alla porta e Tom si girò verso il padre, mentre reggeva in mano la torta della madre. “Mettiamoci in modalità 'benvenuti, vicini!'” gli disse e, all'unisono, fecero un sorriso a trentadue denti, poi il padre suonò al campanello.

    Aspettarono un po' prima che la porta si aprisse ed una chioma nera apparve dietro la porta. “Benvenuti, vicini!” urlarono insieme prima che Tom perdesse il sorriso fissando la persona che aveva davanti.

    “Tom? Ma che diamine...?” gli sussurrò Bill prima di guardare Gordon e poi la torta. Alzò gli occhi al cielo ed aprì maggiormente la porta facendosi di lato permettendogli di entrare. “Entrate.” disse annoiato e poi chiamò Zene, che scese poco dopo. Zene li guidò nella cucina e Tom non poté non osservarsi intorno. Cavolo, quella era la casa di Bill, Bill era il suo vicino nei fine settimana! Figo! Il ragazzo sembrava solamente annoiato mentre accompagnava i due vicini nella cucina, ora doveva subirsi Tom anche a casa? Non ce l'avrebbe fatta. Prima che Tom potesse rendersene conto, la gentile signora stava facendo conoscenza con Gordon e si avvicinò a lui per stringergli la mano.

    “Piacere, io sono Zene.” le disse con un sorriso dolce sulle labbra porgendogli la mano. Tom gli porse la mano ma fece cadere a terra la torta che fu presa prontamente da Gordon.

    “Scusi mio figlio, a volte è un demente.” disse Gordon mentre Tom stringeva la mano alla signora dicendole il suo nome. Si girò verso il padre e gli mandò un'occhiataccia.

    “Ho preso da te!” gli disse e cacciò fuori la lingua, anche Gordon lo imitò e Zene ridacchiò, avvicinandosi a Bill.

    “Lui è mio figlio Bill.” disse indicando il ragazzo che fissava la scena a braccia conserte. Gordon gli diede un'amichevole pacca sulla spalla e si accomodò, sotto il suggerimento di Zene.

    “Tom.” si presentò il ragazzo sorridendogli e porgendogli la mano, lui girò il capo e sussurrò un 'idiota' prima di sedersi vicino a Zene. Tom andò invece a sedersi vicino al padre, proprio davanti Bill che cercava di ignorarlo. L'aveva detto Tom che soffriva di cambio repentino dell'umore.

    “Io e Tom volevamo comprare questa casa.” iniziò Gordon mentre Tom si mordeva il labbro cercando di trattenere le risate. La madre di Bill, sorpresa, si scusò di averlo preceduto. “Si figuri, non si preoccupi. Tom,” disse girandosi verso il figlio. “Credo che il bordello per prostitute dovremmo costruirlo da un'altra parte.” Vedendo gli occhi sgranati di Bill e Zene, né padre né figlio riuscirono a trattenersi e scoppiarono in una fragorosa risata. Il moro guardò prima Tom e poi Gordon, costatando che quei due erano davvero uguali.

    Dopo che padre e figlio ebbero finito di ridere, Zene tagliò la torta per tutti ma Gordon e Tom rifiutarono prontamente, dicendo di non aver fame. Bill, invece, aveva accettato una fetta per non sembrare scortese, ma avrebbe tanto voluto rifiutarla: faceva davvero schifo. Guardò Tom che seguiva il discorso del padre con un sorriso sulle labbra e si sentì in dovere di dirgli qualcosa. “Quindi ora mi romperai anche a casa?” gli chiese.

    Tom si girò verso di lui e allargò il sorriso. “No, a dire la verità dormo da papà solo nei fine settimana. Ma durante la settimana vengo a trovarlo un giorno sì e un giorno no.” spiegò con un sorriso e Bill annuì, portandosi alla bocca un altro po' di torta. Almeno non lo avrebbe avuto tra le palle sempre, almeno avrebbe avuto dei giorni in cui rimanere da solo. “Ma se vuoi che stia tutto il giorno e tutti i giorni con te, accetto.” disse avvicinandosi a lui e poggiando i gomiti sul tavolo.

    Bill arrossì e scosse il capo velocemente. Decise di cambiare argomento. “Ehm, i tuoi sono divorziati?” gli chiese facendo il piatto con ancora un po' di torta il più lontano possibile da sé.

    Tom fece spallucce e annuì. “Si.” disse.

    “Ne parli come se non t'interessasse.” gli fece notare Bill alzando un sopracciglio.

    “Infatti, non m'interessa.” disse. “I miei genitori prima non facevano che litigare, e vederli così pacifici è un bene. E poi ho un bel rapporto sia con mamma che con papà, che vedo quasi ogni giorno, il divorzio ha giovato un po' tutti.” Bill alzò le spalle e sospirò. “E tuo padre?”

    S'irrigidì sul posto e lo fissò negli occhi, piegando un po' il capo. “Lui...è morto.” disse apatico.

    “Oh.” fu tutto quello che riuscì a dire. Cosa doveva dirgli ora? Un sacco di domande si formularono automaticamente nella sua testa: com'è morto? Perchè è morto? Quando è successo? Boccheggiò per cercare qualcosa da dire e se ne uscì con un:”Mi dispiace moltissimo.” Sentì qualcuno attirarlo contro di sé e prima che potesse rendersene conto aveva il capo poggiato contro il petto del padre, che gli circondava le spalle con un braccio.

    “È stato un piacere parlare con te, Zene, ma ora dobbiamo andare. Ho qualcuno da battere alla play.” disse Gordon e guardò il figlio, che gli cinse la vita con le braccia e gli fece una linguaccia.

    “Fino a prova contraria sei sempre tu che perdi, papà caro.” gli disse ed entrambi si alzarono e uscirono, discutendo su cose stupide come il calcio e la play station. Bill alzò gli occhi al cielo e li guardò andare via. Era solo l'inizio, pensò.
     
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  5. vam zimmer 483
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    Non mi dispiace affatto come storia è intrigante e scritta bene spero riprendi presto con i post anche perchè sarebbe un peccato lasciarla!!! A presto ;)
     
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    cacchiolina voglio il continuoo T.T Aggiorna pleasee . E poi ci sono io masochista lel che si legge ff incomplete T.T aspetto un tuo capitolo seguente.
     
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5 replies since 7/3/2014, 22:43   300 views
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