Burn

NC17, Angst, Language, Death fic

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. VeronicaHH
        +2   +1   -1
     
    .

    User deleted


    Titolo: Burn
    Autrice: VeronicaHH
    Rating: NC17
    Avvisi: AU, Language, Violence, Death-fic, Blood
    Genere: Angst, Triste
    Note: So che la malattia si cui si parla in questa shot non è contagiosa per gli umani, ma mi prendo questa licenza di scrittura lo stesso u.u
    Riassunto: Cos’hai fatto, Tom?
    Cosa? Non vuoi dirlo?
    Ti fa forse male? Brucia?


    Banner by Sunny Harold <3



    Desclaimer: I Tokio Hotel non mi appartengono. Nulla di ciò che ho scritto è mai accaduto e non scrivo a scopo di lucro.


    Si morse la lingua talmente forte che quasi sentì il sapore metallico del sangue.
    Ancora una volta. Era successo ancora una fottutissima volta. Vedeva il corpo disteso di suo fratello davanti a sé. La maglietta alzata fino alle spalle e i lividi sul suo petto bianco. Troppo bianco in quelle occasioni. I boxer attorcigliati alle ginocchia e il suo sperma che gli colava tra le natiche.
    Bill dormiva.
    Più precisamente Bill era malato. Sveniva costantemente una o due volte al giorno. I medici gli avevano contratto una malattia al sangue.
    La malattia al sangue.
    Bill soffriva di leucemia e lo sapeva da qualche mese. E Tom era un fottuto bastardo. Un bastardo che bramava il corpo di suo fratello. Un codardo che lo violentava nei suoi momenti di totale incoscienza.
    Bill sveniva e Tom aveva una scusa per soddisfare il suo cazzo.
    Ed era cosi da settimane, ma Bill non lo sapeva.
    Non poteva immaginarlo.
    Era troppo ingenuo. O forse era troppo buono per pensare che suo fratello fosse un cosi crudele pezzo di merda. Tom lo aveva e poi si pentiva, ma la volta dopo era di nuovo lì, a spingersi a fondo dentro Bill, lasciando i segni delle sue dita ovunque. Infliggendo sul corpo del gemello lo sfogo di un’amara verità, quella stessa realtà che tutti i giorni gli faceva salire un conato fino in gola. Ma che mai abbandonava. Si sentiva in colpa, ma continuava.
    Era una droga.
    E forse era più malato lui che Bill. Ma di mente.
    Bill era la sua ossessione. Bramava tutto di lui, ma mai glielo aveva fatto capire.
    Era qualcosa di sporco, di crudele, di fottutamente eccitante. Era qualcosa di malato.
    Eppure non si ritrovava mai a pensare di smetterla.
    Bill stava male, sveniva e lui sgonfiava le sue palle. Marchiava suo fratello di un reato che non poteva immaginare di commettere. Bill subiva, ma mai si rendeva conto di quello che accadeva. Perche quando sveniva, arrivava il buio. E non avrebbe mai immaginato che il vero buio lo avrebbe visto se si fosse svegliato.

    **



    Tom voleva bene a Bill, dopotutto erano fratelli. Peccato che il “bene” per Tom era qualcosa di diverso. Lui non gli avrebbe mai fatto del male. Non lo avrebbe mai fatto soffrire.
    Ma quando vedeva Bill disteso sul suo letto e privo di sensi, credeva di non farcela. Si accasciava su di lui guardava il suo viso pallido, con gli occhi chiusi e le labbra arricciate in una smorfia eterna.
    Eterna quanto il dolore. Eterna quel tanto che bastava per far si che il cazzo di Tom si infilasse dentro di lui e venisse come un verme.
    Veniva dentro il suo corpo e controllava che stesse ancora dormendo. Quegli occhi chiusi, cosi innocenti, beati. Quegli occhi di una persona che sta male.
    Quegli occhi che non avrebbero mai visto suo fratello per quello che era veramente, una fottuta persona malata di mente.
    Tom stringeva le palpebre e digrignava i denti. Sudava. E le sue mani vagavano da sole lungo il corpo di Bill. Sapeva di poter fare rumore, sapeva di poter contare sul fatto che ne sua madre ne suo padre potessero sentirli.

    “Mamma, mamma, Bill sta male” urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
    Erano in giardino e Bill era caduto a terra, senza una precisa ragione. Tom l’aveva visto barcollare e rovinare al suolo privo di sensi.
    Simone accorse fuori dalla cucina con lo straccio ancora in mano.
    “Tom, cos’è suc- ” e sgranò occhi e bocca. Si avvicinò e si inginocchiò a terra.
    “Oddio tesoro, tesoro mi senti?” continuò la donna rivolgendosi al minore.
    Bill era accasciato al suolo con gli occhi chiusi. Suo figlio non respirava.
    “Mamma perché non si sveglia? Bill, svegliati!”. Tom gridava, aveva paura.
    Bill stava male?


    Gli sfilò la maglietta e la buttò in una parte indecifrata della loro stanza. Si abbassò e leccò i suoi capezzoli, mordendoli fino ad avvertire la carne lacerata di Bill sotto le sue labbra.
    Bill stava sempre lì, nella loro camera. Sapeva di dover restare a casa, sapeva che la sua vita era fatta di alti e bassi. Di momenti di luce e momenti di buio. Bill sapeva che la sua vita era appesa ad un filo. Un filo sottile, un filo con il quale Tom si divertiva a giocare. Non lasciava mai la sua stanza, se non per sdraiarsi sul divano del salotto e guardarsi un film. Quelle poche volte che usciva in giardino era per respirare aria pulita e per guardare come la natura cambiava e si evolveva, al contrario di se stesso, che era ormai rassegnato a morire.
    Tom passò la lingua sul suo ombelico e poi sul tatuaggio a forma di stella. Morse forte fino a lasciare i segni dei suoi denti. Prese i polsi di Bill e strinse, graffiando piano con le unghie il suo petto candido e sferrando un pugno sul suo petto subito dopo.
    Pazzo.
    Prese il suo mento tra le dita e premette violentemente le loro labbra insieme.
    Labbra così uguali, così diverse.


    “Signora, suo figlio è sveglio, presto potrà vederlo.” Le disse il medico prima di assumere un’espressione rassegnata.
    “Grazie a cielo. Mi dica, cos’è successo? Perché è svenuto?” soffiò Simone in un sussurro.
    Tom era seduto vicino alla donna, ma non abbastanza da cogliere la conversazione. Vedeva le loro labbra muoversi e le espressioni indecifrabili sui loro volti.
    Il medico si accigliò. La calma prima della tempesta. Il Sole prima del tramonto. Poi ci sarebbe stata troppa poca luce, fino a che la notte non avrebbe preso il suo posto. Da lì all’eternità.
    Dopo due minuti il mondo crollò addosso a Simone.


    Gli diede uno schiaffo. Il viso angelico di Bill era stato colpito dalla mano aperta di suo fratello. “Perché non reagisci? Perché non mi rispondi, cazzo!”
    Tom urlava e sbatteva il corpo gracile di Bill sul materasso. Sapeva perché non reagiva, sapeva il fottuto motivo per il quale Bill non rispondeva. “Perché sei malato? Bill perché mi stai facendo questo?"
    Un urlo disumano riecheggiò nella stanza. Toccava suo fratello, lo schiaffeggiava e leccava come un lurido bastardo i lividi inflitti le volte prima.
    Continuava a gridare e far scivolare via lacrime amare. Lacrime di un pazzo. Un pazzo troppo piccolo per essere tale. Perché a 18 anni, se sei pazzo, allora la tua vita è finita.
    Tom era malato. Non come Bill. Tom aveva semplicemente smesso di vivere nel momento in cui sua madre aveva rivelato ad entrambi cosa avesse Bill veramente. La sua mente non aveva piu funzionato correttamente da quel giorno di qualche mese prima. Tom era volato via insieme a quelle parole, soffiate al vento. Quel vento che si era portato via anche la vita di Simone pochi attimi dopo. Probabilmente aveva la stessa malattia di Bill, questo nessuno lo sapeva. O probabilmente nessuno aveva mai detto loro niente. Loro padre poteva anche essere morto da anni, per quello che sapevano.
    Lei aveva tenuto nascosta la verità per qualche anno. Ignara del fatto che Bill sarebbe potuto volare in cielo da un momento all’altro. Gli aveva dato le cure necessarie, le medicine e i controlli adatti. Bill non capiva la corsa in ospedale ogni fottutissimo mese. Bill non capiva cos’erano quelle pillole che la mamma gli dava ogni sera.
    “Sono delle vitamine” ripeteva sempre Simone. Le porgeva a Bill e lui le prendeva. Gli rimboccava le coperte e gli dava la buonanotte, baciandolo sulla fronte. Tornava poi in camera sua, piangendo ogni notte lacrime amare. Lacrime per il suo bambino. Lacrime che sperava Dio avrebbe asciugato, salvando suo figlio.
    Ma Dio non esiste.
    Bill aveva resistito per diversi anni e Simone gliene era grata. Grata perché aveva visto suo figlio crescere. Grata perché, nel momento della sua morte, aveva ancora i suoi due bambini con sé.
    Simone era morta a 42 anni. Qualche mese prima, la loro mamma era volata in cielo poco dopo aver detto ai suoi bambini – che piu bambini non erano – la realtà dei malesseri di Bill. Erano passati giorni e notti. Bill continuava a svenire e Tom continuava a guardarlo male, mentre il moro chiudeva i suoi occhi. Gli aveva distrutto la vita. Quella verità aveva troncato tutti i loro sogni. Quelli di Bill. E di conseguenza quelli di Tom. Ma a lui non importava dei sogni.
    I sogni sono fatti per illuderti che ci sia qualcosa di migliore, quando invece ti aspetta solo il peggio.
    Lui rivoleva suo fratello, quello vero, quello che non cade in un abisso nero ogni giorno, per minuti e ore.
    Tom era diventato pazzo e se la prendeva con suo fratello. Con il corpo di suo fratello.
    Lo afferrava per le spalle e lo premeva giù nel materasso, fino a farlo sprofondare.
    Non accorgendosi che Bill era già sprofondato. Diversi mesi prima.


    “Tomi, perché io ogni tanto mi addormento e tu no?”
    “Non lo so Bill, il dottore ha detto che non hai nulla. Probabilmente sei stanco.” Alzò le spalle e guardò il fratello negli occhi.
    Avevano 13 anni ed erano passati alcuni mesi dal primo svenimento di Bill, da quel giorno.
    “Tomi, mi prometti che anche se mi addormento tu non mi lascerai mai?”
    Sorrise. “Te lo prometto, Bill. Saremo sempre insieme. Tu sei sempre me, sangue del mio sangue.”
    “Dove l’hai letta questa frase? E’ bella, Tomi”.
    Tom alzò di nuovo le spalle e fece una smorfia. “L’ho letta in un libro che aveva mamma. E’ vero, è bella.”
    Bill rise. “Sei buffo. Allora sarà così, per sempre insieme, sangue del mio sangue”.
    Tom sorrise e un istante dopo Bill sgranò gli occhi. Non seppe perché ma sentì una sensazione che da qualche tempo non lo lasciava andare. E svenne sul prato di casa loro. Tom lo guardò accigliato. “Buonanotte Bill, a dopo” e si stese di fianco a lui, aspettando il suo risveglio.



    Slacciò la fibbia dei suoi pantaloni e abbassò quelli e i suoi boxer in un solo movimento. Gli prese le braccia e le strine forte, procurandogli probabilmente dei lividi scuri. Lo guardò sprezzante e poi gli scese una lacrima.
    Come ai pazzi.
    Urlò la sua frustrazione e si tirò fuori l’erezione dai suoi jeans. Avvicinò i loro bacini e con una forza inaudita si spinse dentro il fratello. Ringhiò e gli prese le spalle, facendo forza su di esse per violare il corpo di Bill con più potenza. Le gambe del moretto erano piene di segni. Segni lasciati da quell’animale senza senno di suo fratello. E si faceva schifo per quello che faceva. Ma ogni volta non smetteva, era drogato. Era pazzo. Era morto, morto dentro, tanto tempo prima.
    Venne dopo poco dentro di lui e lo sperma ricadde sulle cosce di Bill, bagnandole del seme di quel bastardo. Di quella persona che una volta lo prendeva per mano e lo portava a guardare le stelle. Di quella persona che ora lo prendeva per la le spalle e lo violentava senza tregua.

    **



    La leucemia era una malattia che ti disintegrava dentro. Ti toglieva le forze di sorridere e di andare avanti. Ti opprimeva la vista e la voglia di mangiare. Ti lasciava per qualche ora libero, libero di ridere, di vivere. Ma poi tornava, ancor peggio della volta prima. Tornava e ti dava il buongiorno e la buonanotte. Ti assicurava una via verso il non-ritorno. Ti toglieva anche la voglia di gridare.
    Ma la forza di soffrire non te la toglieva mai.


    Tom si era rivestito e aveva asciugato il suo seme dal corpo del fratello, mentre le lacrime solcavano il suo volto.
    “Scusami, amore mio” piangeva. Piangeva per il suo stesso errore. Scoppiava in lacrime quando vedeva quelle macchie scure sul corpo di Bill, che lui stesso gli faceva ogni fottuto giorno. Lo rivestiva e lo baciava sulla guancia.
    E stava male quando Bill si guardava allo specchio, dicendogli che la sua malattia lo riempiva di lividi. Digrignava i denti e abbassava il capo.
    Codardo, pezzo di merda.

    Ogni volta era così. Ogni volta si disprezzava, piangeva e urlava la sua frustrazione per quello che la sua mente da pazzo gli diceva di fare. Ma poi lo rifaceva.
    La pazzia non ti da tregua. Tu corri e quando credi di averla seminata, ti si para davanti e ti avvolge. E poi non ti lascia più.

    Si sedette sulla poltrona e aspettò il risveglio di Bill. Passarono un’ora e qualche minuto e Bill aprì gli occhi. La testa girava e il corpo pulsava, faceva male. Si alzò con non poca fatica a sedere e guardò la sua stanza. Vide Tom seduto, con il capo chino e le mani strette a pugno sulla stoffa dei suoi jeans.
    “Tomi, tutto bene?” pigolò il moro. La sua voce non era più squillante come quella di una volta. Era bassa, roca, rassegnata.
    Aspettò qualche secondo e poi la risposta arrivò.
    “No Bill, non va bene niente”. Disse pacato, alzando il capo.
    Si fece schifo. Quante volte l’aveva fatto? Quante volte l’aveva violentato? Ah, già, non lo ricordava. Ed era come tutte le volte, si pentiva. Lo faceva e si pentiva. Bel pezzo di merda, Tom.
    Vide gli occhi di suo fratello, vide il dolore per quella vita che stava per spezzarsi. Guardò due iridi castane identiche alle sue e il fiato venne meno. Bill lo osservava triste.
    Si alzò dalla poltrona e lo raggiunse, con il senso di colpa che gli attanagliava lo stomaco, che gli procurava conati e dolore.
    Si avvicinò e si sedette accanto a lui.
    “Ce la fai ad alzarti?” azzardò Tom con lo sguardo puntato ai piedi.
    Bill fece un sorriso amaro. Perché il suo Tomi era così triste? Curvò gli angoli della bocca verso il basso e gli accarezzò una spalla. Tom fremette.
    “Certo Tom. Perché, vuoi andare di sotto a guardare un film?”
    No. No che non voleva andare di sotto. Ma come poteva dirglielo? Come poteva dirgli che non sapeva se potesse camminare per il dolore procurato dal suo cazzo dentro di lui?
    “Bill, io…”
    Bill si alzò e, come spesso succedeva, una violenta fitta attraversò la sua schiena fino ad arrivare alle sue natiche. Mugolò di dolore e si risedette sul letto.
    “Credo che questa malattia mi tolga anche la forza di stare in piedi”.
    E Tom si sentì un verme. Un verme che andrebbe calpestato, spappolato, spezzato a metà.
    La sua mente si era distaccata dalla realtà. Capitava molto raramente che parlasse con Bill dopo quello che gli infliggeva.
    Si prese la testa tra le mani e gridò. Gridò tutto lo schifo che faceva, tutto lo schifo che era.
    Si alzò e sbattè un pungo contro il muro, lasciando uscire strisce di sangue dalle sue nocche.
    Bill si portò una mano al petto, spaventato. Tom non si alterava mai così tanto. Cosa aveva fatto? Che aveva detto per farlo uscire di senno?
    Si alzò con una fatica estrema e si avvicinò al gemello. Tom aveva posato la testa al muro e piangeva. Piangeva e soffriva, come d’altronde meritava.
    Bill arrancò verso di lui e con tutta l’innocenza che aveva lo abbracciò da dietro, posandogli un bacio casto sulla nuca. Credeva di avergli fatto qualcosa. Credeva di aver sbagliato. Così glielo disse.
    “Scusami Tomi”.
    Tom sbarrò gli occhi. In quel momento non seppe come, ma qualcosa dentro di lui si fermò. Si spezzò. Si frantumò.
    Cos’hai fatto, Tom?
    Che cazzo hai fatto a tuo fratello per tutto questo fottutissimo tempo?
    Cosa, Tom? Non vuoi dirlo?
    Ti fa forse male? Forse… brucia?
    Tom sentiva le fiamme dentro di lui. Il fuoco lo stava divorando. Percepiva le cellule del suo corpo infiammarsi al contatto col fuoco.
    Ma quale fuoco?
    Quello che si prova dopo aver capito di essere niente. Di essere niente di più che uno stronzo. Un lurido bastardo.
    La vita ti dona tante cose, poi è compito delle persone saperle mantenere.
    E tu Tom, cos’hai mantenuto?
    Niente.
    Quella era l’unica parola che la sua coscienza gli stava facendo pensare.
    Percepiva il calore di Bill dietro di se, le sue braccia esili che lo circondavano. Il suo petto premuto contro la sua schiena. Le sue parole pronunciate pochi istanti prima che premevano sul suo cervello, rendendolo pazzo più di quanto già non era.
    La pelle della sua nuca che fremeva sotto le labbra di Bill. Quel bacio casto, puro. Quel bacio dato con affetto, per tranquillizzarlo, per chiedere scusa, di una colpa che però non aveva.
    Non seppe per quanto tempo riuscì a non muoversi. Capì solamente che pochi minuti dopo Bill si era staccato da lui e si era nuovamente seduto tra le coperte. Candide, soffici. Che avevano visto violenza e forza, brutalità e passione, sangue e colpe.
    Si staccò dal muro e si diresse verso il letto con sguardo vacuo. Bill era seduto con le gambe distese, probabilmente per il dolore al fondoschiena, e con il capo reclinato. Tom si abbassò e gli prese delicatamente il mento con le dita. Gli occhi di Bill erano tristi. Tom gli sorrise e gli baciò una guancia.
    “Tu non hai fatto niente Bill” gli disse dolcemente “Andiamo a guardare un film, dai.”
    Bill sgranò gli occhi e sorrise di rimando. Aveva un sorriso stupendo, nonostante le occhiaie che la malattia gli procurava. Tom gli disse di andare a scegliere il film.
    Bill scese con fatica le scale e si diresse nel mobiletto di fianco al televisore, cercando un film di suo gradimento. Tom rimase nella loro stanza con le braccia lungo i fianchi.
    Come aveva potuto fare tutto quello a Bill, a suo fratello, al suo gemello, all’unica persona che gli era rimasta. Alla persona che amava. Come?
    Un’ultima lacrima scese sulle sue guance.
    Sistemò le coperte del letto, accarezzandole, e poi scese le scale.

    Guardarono un film per circa due ore, mangiando delle patatine e bevendo coca cola. Bill ogni tanto rideva. Tom no. Non poteva, non ce la faceva. Tom restava semplicemente a guardarlo, chiedendosi tante cose. Prima di tutto si chiese con quale coraggio aveva abusato di suo fratello per tutto quel tempo.
    E poi si chiese, preoccupato, se quando Bill sarebbe svenuto di nuovo, lui l’avesse rifatto.
    E non seppe darsi una risposta.
    Pazzo.



    **






    Era passato un solo giorno da quando le membra di Tom si erano attorcigliate su se stesse per i sensi di colpa. Un solo giorno da quando Bill aveva di nuovo riso, davanti ad un film.
    Ora si trovavano entrambi nella loro camera, Bill leggeva e mangiava contemporaneamente. Tom gli portava il cibo in camera, per non farlo sforzare. Lo faceva tutti i giorni da mesi, ormai. Bill gliene era grato e gli chiedeva ogni giorno di restare con lui, mentre mangiava. Di fargli compagnia. E spesso Tom si chiedeva se non fosse meglio stargli lontano.

    Tu non lo sai Bill. Non sai niente. Non chiedermi di restare, per favore. Fallo per me, fallo per te.

    Stava giusto sfogliando una delle ultime pagine del libro quando sentì la testa girare e l’aria venire meno. Gettò un’occhiata a Tom per chiedere aiuto, ma suo fratello non lo vide. Lasciò andare il pezzo di pane che teneva in mano e si accasciò tra le coperte.
    Come sempre.
    Tom sentì dei fruscii indefiniti e alzò il capo. Bill era svenuto, di nuovo.
    La sua testa girò. Strinse i pugni sul manico della poltrona e digrignò i denti.
    Bill era così bello.

    Tom, no.

    La sua mente parlava per lui, la sua coscienza anche. Tom era solo la vittima delle guerra tra entrambe. Guardava Bill con gli occhi di un pazzo.

    Tom, è tuo fratello.

    Le sue mani fremevano. Le gambe tremavano e il cervello smise di funzionare. Voleva Bill. Voleva sentirlo caldo. Voleva entrare dentro di lui.

    Tom, lascialo dormire. Lascialo sorridere una volta in più.


    Non ce la fece più. Si alzò e con una furia inaudita si pressò lungo il corpo di Bill. Era sopra di lui, gli respirava in faccia.

    “Scusami Tomi”.



    Tom sbarrò gli occhi. Bill respirava pianissimo sotto di lui, con gli occhi chiuse e la mente chissà dove. Si pressò ancora di più su di lui.


    “Scusami Tomi”.



    La sua mente continuò a fargli rivivere quel momento. Quel momento di un giorno prima in cui Bill gli aveva chiesto scusa.
    Per cosa, Tom?
    Non dovresti essere tu a chiedere scusa a lui?
    Sbattè un pungo sul materasso e si alzò seduto, urlando in modo disumano.
    Cadde di traverso sulla parte vuota del letto, ansimando.
    Aprì gli occhi. La sua fronte era imperlata di sudore. Il suo cuore era impazzito. Batteva, batteva. Troppo veloce.

    “Scusami Tomi”.




    Di nuovo. Di nuovo quella fitta al cuore. Così potente. Così dura. Così dolorosa.
    Scese con fatica dal letto e alzò lo sguardo su Bill, svenuto. La sua malattia lo stava distruggendo. Era pallido, magro, le costole visibili ad occhi nudo.
    Quello che lo stava distruggendo di più, era però lui, la sua violenza e la sua pazzia.
    Si passò una mano sulla fronte. Si avvicinò cauto al corpo del suo gemello e lo coprì con le coperte azzurre.
    E poi corse veloce fuori dalla porta, aspettando il suo risveglio.


    **


    Erano in ospedale, per il solito controllo mensile.
    Bill sedeva in sala d’aspetto e Tom di fianco a lui.
    Una settimana prima aveva cercato ancora di violentarlo, ma si era fermato. Da quel giorno non aveva più osato toccare Bill mentre giaceva sul letto, svenuto.
    Non aveva mai saputo cosa era riuscito a fermarlo, ma sapeva che non lo avrebbe più fatto. Non lo avrebbe più fatto soffrire.
    Il medico fermò i suoi pensieri, venendogli incontro e portandogli i risultato delle analisi.
    “Signori Kaulitz?”
    “Si” disse stancamente Bill.
    Il medico sorrise. Quel sorriso che riserva a tutti i pazienti gravi. A tutti quelli che stanno per morire.
    “Ho qui i risultati. Devo dirle che lei soffre di leucemia già da diversi anni. E’ stato fortunato a ricevere le giuste cure fino ad oggi. Come lei sa, però…” fece una pausa e sospirò “… come lei sa, in questi casi si arriva ad un punto di non-ritorno. Le analisi lo confermano. Mi dispiace signor Kaulitz”. Bill sussultò e Tom lo stesso.
    “Dobbiamo ricoverarla, non le resta molto tempo.” Finì il medico, abbassando la voce sconfitto.
    Bill non si mosse. Continuò a respirare piano e poi fece quello che ne Tom ne il medico si aspettavano. Sorrise. Era sicuro, un sorriso di chi sa essere forte, di chi sa quando è ora di salutare il mondo.
    “Sapevo sarebbe arrivato questo momento” disse Bill con un filo di voce “ Mi dica qual è la mia stanza”.
    Il medico ricambiò il sorriso tristemente e lo accompagnò lungo il corridoio bianco. L’ultimo colore che Bill avrebbe visto.

    Tom non aveva fiatato. Sperava in un miracolo del cielo, di Dio. Di qualsiasi cosa fosse. Sperava in un brutto sogno. Sperava di sentire la voce di Simone svegliarlo e dirgli che Bill lo aspettava per la colazione.
    Aprì gli occhi e si rese conto che no, non era un sogno.
    Era seduto su una sedia di fianco al letto di Bill. Suo fratello aveva sistemato alcuni fiori di fianco al suo letto e ora finiva di leggere il suo libro.
    Aveva appena concluso l’ultima riga quando si voltò verso Tom.
    “Tomi, è un bel libro, dovresti leggerlo anche tu” sorrise verso il gemello.
    Tom lo guardò triste e annuì. Lo prese tra le mani e lo appoggiò sul comodino. Sorrise a Bill e si alzò.
    “Torno subito” gli disse.

    Tornò in stanza con uno sguardo perso. Quasi assente. Camminava senza la consapevolezza di farlo.
    Si sedette accanto a Bill e restò lì per qualche minuto.
    “Che succede, Tomi?” disse il gemello all’improvviso.
    Tom si girò verso di lui e gli rivolse un sorriso stanco.
    “Nulla, ho solamente un po’ di sonno”.

    “Mi dica, quanto tempo gli resta seriamente?”
    “Lei stesso mi ha detto che le sue condizioni sono peggiorate ultimamente, signor Kaulitz. Dalle analisi direi… uno, massimo due giorni.”


    Continuò a guardare Bill e una lacrima solcò le sue guance.
    Aveva pensato, aveva riflettuto e aveva deciso.
    Doveva pagare. Lui doveva pagare per tutto quello che aveva fatto a suo fratello. Al suo Bill. Alla persona che stava per morire.
    L’aveva fatto soffrire, molto di più della sua malattia. La leucemia era quasi niente in confronto al male che Tom gli aveva fatto.
    All’insaputa di Bill.
    Gli aveva portato via l’innocenza, la purezza, la voglia di camminare, di alzarsi da quel letto. Gli aveva strappato l’unica via di uscita che aveva da quel buio: se stesso. L’aveva riempito di lividi, di dolore, di sperma. L’aveva violentato e lasciato lì. E l’aveva rifatto tante, tante volte.
    Gli aveva mentito. L’aveva picchiato.
    L’aveva amato.


    **




    La notte era passata e Tom era rimasto sveglio di fianco a Bill, di fianco al suo letto e alle pareti troppo bianche di quell’ospedale. Gli aveva preso la mano e non l’aveva lasciata.
    Quella mano che l’avrebbe portato insieme a lui.
    Bill si era svegliato presto quella mattina. Tom aveva aspettato il suo risveglio e si era allontanato pochi istanti, per tornare subito dopo.
    Ora era di fianco a lui e si guardavano negli occhi.
    “Mi sento tanto debole, Tomi. So che succederà presto, molto presto.”
    A Tom mancò un battito. Si alzò e posò un bacio sulla fronte di Bill.
    Prese di nuovo la mano di Bill nella sua e infilò l’altra in una delle sue enormi tasche.
    Ne estrasse un piccolo coltellino svizzero. Bill sussultò.
    “A che ti serve, Tom?”
    Tom sorrise triste e Bill si accigliò.
    Era stupido, era pazzo.
    Ma era ciò che lui stesso credeva di meritare.
    Non era giusto. Non era giusto che l’unico a dover soffrire fosse Bill. Non dopo che non aveva nessuna colpa. Non dopo che il suo unico errore era stato continuare a lottare, a vivere, nonostante la malattia, nonostante Tom.
    Strinse forte la mano di Bill con la sua e poi le separò. Fece un taglio molto profondo alla sua mano e Bill lo guardò terrorizzato.
    “Tom, oddio Tom. Cosa vuoi fare?”
    Lo sguardo di Bill era ancora incredulo, terrorizzato. E lui era incapace di formulare qualsiasi pensiero.
    Addormentarmi insieme a te”
    Tagliò anche il palmo di Bill. Un taglio molto più piccolo e meno profondo. Bastava poco sangue, per quello. Si ricordò quando sua madre diceva di non toccare Bill mentre sanguinava, altrimenti avrebbe preso anche lui la malattia.
    Il contatto del sangue.

    Merito di andarmene anche io. Ma prima merito di soffrire tutto quello che hai sofferto tu, amore mio.

    Bill cercava di ritirare la mano.
    “Tom, no. Non farlo, Tom, ti prego, no”
    L’unica cosa che Tom seppe fare in quel momento fu sorridere e unire i loro palmi.
    Sentì il sangue di Bill che circolava insieme al suo. Sentì il sangue di Bill nelle sue vene.



    “Per sempre insieme, sangue del mio sangue”.










    Note finali:
    Beh, che dire. Tom cambia spesso comportamenti, il che è dovuto al fatto che sia pazzo.
    Ogni cosa che fa, fa capire di meno quale siano i suoi ragionamenti o il perché pensi determinate cose. Il finale è diretto verso un’unica via, che si capisce: Bill muore. Tom rimane da solo a soffrire per diverso tempo. Dopodichè la malattia porta via anche lui. La frase finale lo fa capire.
    Il fatto che Bill abbia la malattia e Tom no è dovuto al fatto che Bill l’ha contratta da Simone. Tom, evidentemente no.
    Per il resto, grazie per aver letto.

    Edited by VeronicaHH - 10/1/2011, 15:50
     
    Top
    .
  2.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Dream Machine

    Group
    Tom
    Posts
    4,572

    Status
    Offline
    Commenterò, giuro che lo farò.
    Ma adesso sono troppo scossa da questa storia.

    Non ho parole.
     
    Top
    .
  3. VeronicaHH
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Mi fa piacere che ti sia piaciuta, davvero. Ti ringrazio molto.
     
    Top
    .
  4. TH_DieBesten
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    è semplicemente FANTASTICA.
     
    Top
    .
  5. VeronicaHH
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Tesoro *-*
    Grazie, davvero.
     
    Top
    .
  6. ;SunShine
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    E'...Non ci sono parole per descriverla.
    E' diversa dalle altre.
    E' stupenda...
     
    Top
    .
  7. VeronicaHH
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Grazie mille.
    E' un pò complicata per quanto riguarda la parte dei ragionamenti, ma sono contenta che vi piaccia, davvero.
     
    Top
    .
  8. Hope;
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (TH_DieBesten @ 6/1/2011, 22:37) 
    è semplicemente FANTASTICA.

    Quoto semplicemente con Flò. :wub:
     
    Top
    .
  9. VeronicaHH
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (Hope; @ 7/1/2011, 20:14) 
    CITAZIONE (TH_DieBesten @ 6/1/2011, 22:37) 
    è semplicemente FANTASTICA.

    Quoto semplicemente con Flò. :wub:

    Ma che dolce **
     
    Top
    .
  10. ivy.pokerface
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    E'...triste ma è stupenda ! Complimenti :D
     
    Top
    .
  11. jada.1984
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    se posso permettermi...
    la leucemia non si attacca!
    nemmeno le più gravi
    sono donatrice di midollo osseo e so perfettamente tutto sulla malattia c'è passata una mia parente
    magari era solo per lo scopo della storia ma ti prego scivilo nelle note finali non vorrei che ulche ragazzina emarginasse un povero malato leucemico solo per paura di prendere una malattia che non si attacca
    non si contrae e non è genetica!
    viene e basta


    prima delle ultime righe ti giuro una storia bellina e sentita i miei complimenti ma il finale ma lasciato veramente basita
     
    Top
    .
  12. ivy.pokerface
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE
    non vorrei che ulche ragazzina emarginasse un povero malato leucemico solo per paura di prendere una malattia che non si attacca

    Spero che non ti riferisca a me xD no scherzo.
    Io ho un'amica che ha avuto la Leucemia quando era piccola. Grazie a Dio è riuscita a guarire. La conosco da poco più di un anno ma le voglio un gran bene.

    CITAZIONE
    sono donatrice di midollo osseo

    Per questo ti ammiro ^^
     
    Top
    .
  13. jada.1984
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE
    Spero che non ti riferisca a me xD no scherzo.
    Io ho un'amica che ha avuto la Leucemia quando era piccola. Grazie a Dio è riuscita a guarire. La conosco da poco più di un anno ma le voglio un gran bene.

    no tesoro io non volevo offendere nessuno però tu capisci che questo è un forum moooooooooolto frequentato e anche da ragazze di 12 anni e magari non sanno molto sulla malattia, non sono state informate o non ci sono stati casi di amici o parenti
    quindi era solamente per dirlo. non per insultare nessuno nemmeno la storia perchè è bella solo il finale come ho già detto ma lasciato perplessa
    e no non mi stimare ci sono voluti anni per la paura giuro io ancora ho paura non è una passeggiata se mai dovesse servire...
    ma nel frattempo sono donatore di sangue lo dono ogni sei mesi :) quello lo possono fare tante persone fa bene a chi lo riceve (anche malati leucemici volendo) e fa bene a noi perchè garantisce un ricambio di sangue continuo, il peronale nei centri trasfusionali è molto più che eccellente, quando esco da delle analisi normali io ho gli ematomi, quando esco dal centro trasfusionale dove l'ago è notevolmente più grande non ho assolutamente nullaapparte il buchino
    scusate la propaganda al donare evaporo
    ribadisco non volevo dire nulla di male a nessuno
    e sono felice che la tua amica ora stia bene :)
     
    Top
    .
  14. VeronicaHH
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Ti ringrazio molto del commento!
    Ma se leggi gli avvisi in alto, sulle NOTE, l'ho anche sottolineato, e so perfettamente che non si attacca. L'ho scritto come licenza poetica appunto, poichè non era il fatto della "leucemia" che volevo far capire con questa storia, ma ben altro..
     
    Top
    .
  15. jada.1984
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    ma è arrivato tutto il resto che volevi far capire tranquilla!
    l'ho detto la storia mi piace pure!
    era solo quello che me lasciava un pò basita ma se lo hai scritto ok
     
    Top
    .
21 replies since 6/1/2011, 21:11   1302 views
  Share  
.