PARADISI ARTIFICIALI

In fase di scrittura.

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  1. DisasterpiecexX
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    Titolo: Paradisi artificiali
    Autore: DisasterpiecexX (Crilla u.u)
    Beta: HachiBLOOD~ \\ quarto capitolo android`\\
    Rating: Nc 17
    Avvisi: Drug use, Twincest Not Related, Language, Violence, Angst.
    Avvisi “sessuali”:Lemon, Bondage, Heavy Kink, S/M, BDSM.
    Genere: Drama, Long Fic.

    Riassunto: Bill è un ragazzino tormentato da migliaia di problemi esistenziali, la sua vita cambierà quando i suoi amici inizieranno a fare uso di droghe. Lui, inizialmente, schifato dalle nuove abitudini degli amici,
    si ritroverà catapultato e inghiottito dentro questo mondo artificiale e terribile. Tom non è altro che il suo misterioso spacciatore e la mano bastarda che ha gettato Bill dentro l'inferno.

    Disclaimers: Non possiedo nè i Kaulitz nè i Tokio Hotel, tutto ciò che ho scritto non è reale e non è a scopo di lucro.

    Note e ringraziamenti: Salve, per chi non mi conoscesse, il mio nome è Crilla. u.u Sono ansiosa di condividere con voi la mia creazione. Paradisi artificiali è il frutto della mia follia e qualche stupida esperienza. E’ una drug use in tutto e per tutto, anche se poi si arriverà al pwp, da come potete vedere negli avvisi. ò.ò Ho già scritto molti capitoli e credo che il postaggio avverrà almeno una volta a settimana.
    Un ringraziamento speciale va ad HachiBLOOD~ per aver betato questa storia, per la sua disponibilità, gentilezza ed efficienza. <3 Grazie davvero.
    Inoltre, volevo ringraziare Jennifer, senza di lei non avrei mai scritto questa storia, è riuscita a trasmettermi un po’ della sua immensa creatività e voglia di scrivere. <3 Ti amo. –crai
    Buona lettura.

    Link capitoli



    image
    ( Ringrazio quella figa di (tomgasm) per questo magnifico banner)


    PARADISI ARTIFICIALI



    (01) Non c’è n i e n t e.

    Il trillo insistente della sveglia mi strappa rudemente dal mondo dei sogni. Al momento, non riesco a trovare la forza per aprire gli occhi, né la lucidità per rendermi conto che è iniziata una nuova giornata. Forse, però, non ho nemmeno bisogno di rendermi conto di niente. La sveglia continua a suonare, mi spacca i timpani e con loro si spacca lentamente la mia anima. Il buon giorno si vede dal mattino. Giorno? Luce? Luce…
    E con la più grossa bestemmia mai detta, scaravento la sveglia a terra, vedendola sfracellarsi.
    Sembra un po’ come me.
    Che stupido, io non potrei mai cadere in pezzi perché io non sono, io non cado, io non mi spezzo. Ed ecco una delle tante giornate sterili.

    Abbandono il caldo rifugio che mi ha offerto per tutta la notte il letto e guardo il display di quel fottuto cellulare, notando un messaggio in arrivo. Schifoso e inutile cellulare che mi tiene in contatto con i comuni umani. Comuni umani, mica come me.
    “Ehy Bill, oggi non vengo a scuola ci siamo divertiti tanto con i lenzuoli bianchi e lo zucchero* e sono devastato… ma che puoi saperne tu? ;D Ciao.”
    Un’altra bestemmia scivola fuori dalle mie labbra e si perde nell’aria, dove nessuno può sentirla. Nessuno, perché non c’è niente. NIENTE.
    Schifosi drogati di merda.

    Strappo via la maglietta leggera di cotone che indosso per la notte e il freddo mi penetra dentro, sotto la carne, nelle ossa, nel cuore e nell’anima.
    Mi avvicino al cassettone, dove tengo i vestiti, posto sotto l’elegante e piccolo specchio. Piccolo, ma non troppo, tant’è che riesco a vedere il mio petto pallido e piatto. Piatto, senza nessuna sensuale curva.
    Piatto, e così maschile.
    Respiro bruscamente dal naso e mi sforzo per non avvicinare le mani al petto e farlo sanguinare come merita. Schifo, ma così tanto che due dita in gola farebbero meno effetto.

    Afferro i primi pantaloni neri che trovo e mi allontano dallo specchio, dal mio riflesso, da me stesso.

    **

    Mi giro di scatto con un ringhio, quando una mano sudicia si posa sulla mia spalla, un paio di occhi rossi e ridotti a due fessure mi guardano curiosi.
    -Cristo, Georg, pensavo non venissi.- mormoro distogliendo lo sguardo e fissando le scarpe di tutti i passanti, memorizzandone forma e colore.
    - Io non sono Andreas, non sarà un semplice mal di testa a mettermi fuori uso.- sibila gonfiando leggermente il petto, chinando poi il capo e portando le mani a stringersi i capelli in un pugno.
    - Allora, per favore, oggi non osare lamentarti per il tuo fottuto mal di testa, siete stati voi a fare quello schifo con tutta la merda che avevate comprato ieri.- esclamo malamente, calciando un sassolino.
    - Woooh oaah, scusa principessa, non capita mica tutti i giorni che Devil rasta ci faccia un’offerta come quella.-
    - E ora chi cazzo è Devil rasta? E non chiamarmi principessa, porco cazzo.-
    - Sei una principessa, stupida e spaurita.- scherza.
    Odio scherzare, odio ridere e o d i o quando mi chiamano al femminile. In fin dei conti, loro non sanno niente. N I E N T E.
    - Comunque, Devil rasta è il tizio che ci rifornisce.- dice, ancora prima che abbia il tempo di rispondere, o sputargli in un occhio.
    Strabuzzo gli occhi e arriccio le labbra in un’espressione infastidita.
    - Che cazzo di persona con un po’ di cervello si farebbe chiamare “Devil rasta”?-
    Chiedo mettendo le mani in tasca. Non so mai che farmene delle mie mani, quando sono tra la gente. Di certo, non posso lasciarle libere.
    - Oh, se lo sapesse, penso mi taglierebbe la gola. È il sopranome che gli ha messo Andreas.- ridacchia, continuando a tenere la testa tra le mani. Mentre cammina non guarda avanti, ed io ho paura che andrà a sbattere da qualche parte, anche se gli starebbe bene, in questo caso
    - Ah, bene. E com’è che io non ne ho mai sentito parlare?-

    Sapevo che la droga li avrebbe separati da me; eravamo tre anime che camminavo nella stessa bolla. So che può sembrare una cosa fottutamente stucchevole, ma lo eravamo. Prima, ogni cosa veniva fatta insieme, adesso io sono tagliato fuori, invece. Incredibile cosa possa fare un po’ d’erba.
    - Perché, principessa, fin quando non ti degnerai a partecipare ai nostri festini sarai fuori da tutto questo.-
    Ha solo espresso a voce ciò che mi preoccupa di più, ma non fa male più di tanto. Non posso farlo, non posso fare N I E N T E, o questo comporterebbe l’annullamento totale della mia personalità.
    La mia personalità, l’unica cosa che mi rende fiero e mi tiene ancora in vita.
    - Vaffanculo, Hobbit del cazzo. Gira tutto intorno alla droga per voi?-
    - E sta’ un po’ zitto! Quando la smetterai di fare il perbenista, ne riparleremo.-
    - Col cazzo, non prenderò mai quella roba. Io ci tengo ai miei neuroni, io ci tengo a me!-

    Io ci tengo a me?

    -Adesso non iniziare con i tuoi discorsi da saputello, cazzo. E Sta’zitto, che ho mal di testa.- borbotta, prima di superarmi e andare via.
    ‘Fanculo.
    Calcio un altro sassolino, prima di entrare nella scuola.
    Che schifo.
    Mi abbandono sulla sedia scomoda e fredda, un po’ come la mia vita, e poggio lo zaino sul posto di Andreas accanto al mio, oggi vuoto.
    Dal mio posto, osservo la professoressa entrare: la signora Schweig, donna bellissima e femminile, con un decolté meraviglioso. La osservo sempre, a lungo, e sento spesso Georg ridacchiare; pensa che siano i miei ormoni maschili a farmi osservare questa donna con tanto interesse, ma non sa che, in effetti, io questi ormoni sento di non averli proprio. È solo l’invidia che mi spinge ad osservarla così morbosamente, contemplando ore quello che io non avrò mai. Ai miei occhi, le sue forme e la sua femminilità, sembrano davvero tutto ciò che mi servirebbe per essere felice.
    Io felice non lo sarò mai, proprio perché ho un pene e sono piatto. Perché? Come sono potuto nascere in un corpo del genere? Perché? La mia carne è il mio fardello ed io sono destinato a peccare. Abominio.
    Io non accetterò mai me stesso, e adesso sembra che nemmeno i miei amici lo facciano.
    E mentre la signora Schweig inizia la lezione sfilando verso la lavagna, gesticolando con una sensualità unica, io guardo fuori dalla finestra cercando in tutti i modi di evadere con la mente per non guardare quello che non avrò mai, soffrendo ancora di più. Oggi però, non riesco a disconnettermi dalla realtà.
    Con la coda dell’occhio osservo Georg, constatando che sì, in quel momento appartiene ad un’altra realtà.
    Ha trovato la mia cura? Georg, sta per caso testando la mia di cura, quella che servirebbe a me e solo a me?

    **

    -Ti sei calmato?- mi chiede Georg, afferrando l’accendino dalla tasca e porgendomelo.
    -Sì. Il tuo mal di testa è passato?- chiedo accendendo la sigaretta e guardandolo il cortile della scuola dove tanta, inutile e superficiale gente passeggia.
    -Sì, va meglio, ma non da fastidio, anzi tiene vivido il ricordo di quello che è successo ieri sera.- ghigna, ed io sgrano gli occhi, non riuscendo a capire cosa abbia di tanto di speciale quella roba.
    -Oh Cristo, Georg, dovrei farti spedire in una clinica.- borbotto aspirando dalla sigaretta, mentre lui si rabbuia e assottiglia gli occhi.
    -Ma anche no, principessa, perché non provi almeno a… cazzo, che parlo a fare, tanto non capiresti.-
    Un tizio diceva che quando non riesci a spiegare cioè che vuoi dire, è perché nulla in te è chiaro. Sei confuso, Georg?
    - Preferisco non capire.- sibilo.
    -Mi sembri tanto uno sfigato, eppure con le sigarette non ti sei mai fatto proble - wooo oooh!- si blocca, guardando una figura che passa a qualche metro da noi.
    -Che cazzo ti prende?- chiedo confuso.
    -Guarda, sta passando Devil Rasta!- esclama con aria sognante. Stupido idiota.
    -Chi è costui?- chiedo seccato.
    -Il tizio con la felpa rossa e i dreadlocks.- risponde, indicandolo un secondo prima di ritrarre la mano per non farsi notare.
    Guardo verso la direzione che prima mi ha indicato il suo braccio e vedo una figura assolutamente stranissima camminare, sicura di sé.
    -Oh Cristo, non mi dire che… oh mio Dio, ma ha la nostra età e spaccia? Cioè…- farfuglio sbigottito. Ma dove arriveremo?
    -Ma che cazzo di discorsi fai? Ma cosa stai diventando? Sei un bigotto o cosa, Bill?- commenta schifato, senza neanche chiamarmi “principessa”.
    Deglutisco. Non credo di esagerare, ma le sue critiche pesano come un macigno su di me, come tanti cadaveri sopra il mio esile corpo infreddolito.
    -Ti atteggi tanto da uomo vissuto, sei sempre serio, non ridi mai, cazzo. Non hai niente, niente per stare male, e non fai nulla che giustifichi il tuo atteggiamento.-
    Cerco di restare impassibile alle sue parole, ma hanno lo stesso impatto di un cappio al collo.
    Io non ho n i e n te.
    -Okay.- rispondo semplicemente.
    -Non dirmi che ti sei offeso, porca miseria. Bill! Siamo uomini con le palle noi.-
    Rigira il coltello in una ferita già del tutto infetta.

    -Uhm, io vado a parlare con Devil rasta, vieni?- chiede, cercando di rimediare.
    Ed io dovrei andare lì, a parlare con quello? Magari a presentarmi, relazionare con una persona che non mi stimerà mai, perché io non mi drogo. Una persona che della droga ne ha fatto la sua vita e che sicuramente, mi guarderà e mi chiederà “E tu? Tu ti droghi?” ed io dovrò rispondere “No” e subito dopo gustare le sue prese in giro e risate acide.
    -No, io sono fuori da tutto questo.- rispondo, cercando di non mostrare nessuna insicurezza nella voce.
    -Come vuoi…- risponde prima di allontanarsi.
    Sospiro, guardandomi intorno e notando qualche sguardo su di me; ovvio, io sono il tipo strano con l’aria vissuta, “l’uomo di mondo”.

    Guardo in lontananza Georg. Sta ridendo, toccando con le sue mani grandi i capelli.
    Non sarei sorpreso se fosse disposto ad abbassarsi per fare un bocchino a quel famigerato “Devil rasta”.
    Il suddetto Devil rasta ghigna a sua volta, cosa che mi fa capire quale sia l’argomento di conversazione, di cosa purtroppo stiano parlando. Georg ha sempre lo stesso luccichio negli occhi quando parla di erba o cocaina. Il ragazzo dai rasta biondi si gira alla sua destra, verso di me, sicuramente per evitare di ascoltare una battuta pessima di Georg, quando i nostri occhi s’incontrano il ghigno scompare dal suo volto, notando l’espressione d’odio con cui lo sto osservando. Porta le mani in tasca, alza un sopraciglio che si perde nella fascia che porta sotto il cappellino e m’incenerisce con lo sguardo. La potenza e la strana elettricità che provengono dai suoi occhi, mi costringono a distogliere lo sguardo, impaurito.
    Lui sì, che è un uomo vissuto.


    SPOILER (click to view)
    *"lenzuoli bianchi e lo zucchero" è un linguaggio in codice che indicano, rispettivamente, le canne e la cocaina.


    Edited by DisasterpiecexX - 17/4/2011, 22:12
     
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