These Four Walls

In fase di scrittura

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    YunJae

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  2. LadyDepp
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    Capitolo 4



    Aprii leggermente gli occhi, ritrovando la faccia del mio amico Andreas a pochi centimetri dal mio viso. Cercai di articolare qualche parola ma le mie labbra sembravano paralizzate.
    Tentai di voltarmi, per ricominciare a dormire tranquillamente.
    Volevo riprendere quel sogno e volevo farlo in quel momento.
    “È tardi! Tooom!”
    Sbuffai sonoramente.
    “Porca puttana!” urlai appena fui in grado di farlo.
    Avrei potuto continuare a sbraitare per ore, cercando di cacciarlo fuori dalla mia casa, ma sapevo che sarebbe stato solo tempo sprecato.
    Andreas sembrava divertito dalla mia rabbia, ormai ci aveva fatto il callo.
    Si allontanò dal mio letto e raggiunse la sedia, mostrandomi dei vestiti che probabilmente non avevo mai visto in vita mia.
    Ma era troppo presto per pensare in modo razionale, quindi evitai di pormi il problema.
    “Sono andato al negozio qui vicino, ti ho preso qualcosa di decente” chiarì, forse notando la mia espressione.
    “Fottiti” risposi, cercando di nascondere la testa sotto il cuscino, per isolarmi e non ascoltare più le sue parole.
    Quando la mano di Andreas toccò ancora una volta la mia gamba, capii che il mio sogno non poteva continuare, almeno non in quel momento.
    Mi trascinai lontano dal letto, verso il bagno, iniziando a sfilarmi lentamente la maglia e i boxer.
    L’acqua della doccia sembrò svegliarmi del tutto.
    E solo allora compresi che non era mattina come pensavo, ma era ormai sera.
    Quando uscii dal bagno sembravo quasi un normale ragazzo della mia età, solo completamente nudo.
    “Io quelli non li metto”
    “E invece lo farai, è un concerto importante”
    Abbozzai un sorriso.
    “Non verrà nessuno”
    “Pessimista del cazzo” disse, imbronciandosi.
    Odiava quando tentavo di demolire la sua felicità, il suo ego e le sue certezze.
    Io invece non potevo essere più divertito.
    “I pantaloni sono passabili, ma non metterò quella maglia...”
    Andreas alzò gli occhi al cielo.
    Avevamo entrambi vinto e entrambi perso.
    Parità.

    Strinsi più forte la chitarra.
    Come avevo predetto, il locale non era molto affollato, però in compenso una ragazza non mi aveva tolto un attimo gli occhi di dosso.
    Il trucco nero esaltava gli occhi chiari, ma certamente non era quello il particolare che mi aveva colpito più di tutto.
    Risi della mia superficialità, poi voltai lo sguardo verso Andi che continuava a cantare e ad agitarsi accanto a me.
    “...when happiness doesn’t worth, trust me and take my hand... when the light go off you will understand…”
    Abbassai lo sguardo sulla mia chitarra e continuai a suonare, anche se la mia testa era totalmente da un’altra parte.
    Non riuscivo a dimenticare quel sogno, così reale.
    Il ragazzo mi fissava, mi indicava, mentre io ero con Andreas, vicino la porta di quel negozio. Poi mi chiedeva di scappare con lui. Le nostre mani unite e noi, veloci nella corsa. Nessuno ci avrebbe raggiunti, non adesso che eravamo insieme.
    Scossi il capo, per ritornare alla realtà.
    Era ovvio che mi stessi facendo delle seghe mentali.
    Non era certamente una dama che urlava in attesa di essere salvata da un bel principe azzurro.
    Era una puttana, una semplice puttana che amava farselo mettere in culo. Non c’era niente di dolce in questo e niente di così sconvolgente.
    E allora perché non posso fare a meno di pensarci?
    La domanda si formulò da sola nella mia testa, in attesa di avere una risposta, e decisi che l’avrebbe avuta il più presto possibile.
    Odiavo avere questioni in sospeso, soprattutto se queste questioni vi inseguivano anche di notte, nei sogni.
    Sorrisi tra me e me, proprio mentre Andreas pronunciava l’ultima parola della canzone e io pizzicavo per l’ultima volta la corda.
    Il biondo salutò il piccolo pubblico, poi scomparì tra la folla, mentre io sistemavo la chitarra nel fodero. Quando ritornò aveva quattro birre in mano.
    “Complimenti a questa band, la nuova promessa del rock!” urlò, distribuendo le bevande e alzando la sua bottiglia in alto, in attesa del brindisi.
    Lo assecondammo e brindammo al nostro promettente futuro.
    Rimanemmo alcuni secondi così, fermi, a commentare l’esibizione, ridendo di tanto in tanto delle battute che facevamo.
    “Cosa facciamo adesso?” chiese Georg, continuando a sorseggiare birra.
    “Non state morendo di sonno?” chiese Gustav, ottenendo in risposta solo occhiatacce.
    Non riuscimmo a trattenere le risate, ma io fui il primo a tornare serio.
    Afferrai Andreas per un braccio e lo tirai leggermente in disparte.
    “Che c’è?” mi chiese, quasi preoccupato.
    “Non ricordi? È venerdì”
    “Che palle Tom! C’è un bel po’ di strada da fare. E poi qui ci sono tante ragazze, non penso che non potresti trovarne una che te la da” rispose, sorridendo maliziosamente.
    “Non è questo. Dobbiamo andare alla Dolls House!”
    “Vuoi urlare un altro po’ per caso?” mi sgridò.
    “Sì, scusa. Prendi le tue cose e andiamo”
    Lo sentii sbuffare alle mie spalle, mentre raccoglievo la chitarra e la mia giacca.

    “E tu non vuoi rivederla solo perché è andata un altro?”
    “Certo” rispose, tenendo gli occhi fissi sulla strada davanti a noi.
    “Andi amico, è una puttana, non può andare con un solo uomo” gli dissi, cercando di trattenere il sorriso.
    “Secondo te me ne frega qualcosa? Mi fa incazzare pensare che glielo abbia messo in culo qualcuno dopo di me”
    “E anche prima se è per questo”
    “Grazie al cazzo” disse, voltandosi verso di me, scuro in viso.
    Lo sentii premere l’acceleratore, mentre la macchina cominciava ad andare sempre più veloce.
    Alzai lo sguardo e riconobbi l’insegna luminosa.
    Dolls House.
    Eravamo arrivati.

    Mi guardai intorno.
    Sorrisi quando mi accorsi che era proprio dove mi aspettavo di trovarlo, al bancone.
    Lasciai Andreas al tavolo, mentre era nel pieno di una discussione con la sua amica italiana, di cui non ricordavo neppure il nome.
    Ero alle sue spalle quando il posto che avevo intenzione di occupare fu preso da un uomo, quasi il doppio di me, in altezza e in larghezza.
    “Vedi di muovere il tuo culo sfondato... avete tutti del lavoro da fare, e cercate di farlo bene... i soldi non crescono sugli alberi, ma io posso prenderli dal buco del tuo culo” disse l’uomo che aveva fulminato con lo sguardo il moro la prima volta che avevo provato a parlare con lui.
    Anche se era il suo capo, rimasi comunque impietrito dalla freddezza e dalla volgarità con cui si rivolgeva alla Perla del locale.
    Il ragazzo in tutta risposta voltò leggermente in capo e annuì, in modo del tutto meccanico.
    Potevo scommettere qualcosa che non aveva neppure badato alle sue parole.
    Quando l’uomo lasciò il posto accanto alla Perla, aspettai qualche secondo prima di occuparlo.
    Ordinai una birra, afferrai il bicchiere e bevvi un poco.
    Poi mi voltai verso il ragazzo.
    “Ciao” dissi, cercando di far sembrare sicura la mia voce.
    Quando finalmente si voltò verso di me, erano già passati alcuni minuti.
    “È la prima volta che vieni qui? Bisogna conoscerle, le regole” cominciò a dire.
    Ma io avevo già sentito quel copione, e non una volta.
    “Qui posso avere ogni ragazza che desidero, bla bla ma tu non sei compreso” continuai per lui, mostrando di aver ascoltato attentamente le sue parole.
    Ma il moro non si mostrò stupito, continuò semplicemente a fissarsi le mani.
    “Posso sapere il tuo nome?” chiesi, sfacciato.
    Mi accorsi che non aveva alcuna voglia di rispondere, ma si mostrò comunque cortese.
    “Mi chiamano Black Pearl” rispose.
    “No, intendevo il tuo nome... il tuo nome vero..”
    “Mi chiamano Black Pearl” ripeté.
    Decisi di non mollare.
    “Il tuo nome fuori da questo posto”
    Sembrava che non mi avesse capito, ma la sua risposta mi fece capire il contrario.
    “Non ho altri nomi, io sono la Perla del locale”
    Capii che non avrei ottenuto niente continuando su quella linea.
    Era inflessibile.
    E freddo, terribilmente freddo.
    “Perché quell’uomo ti tratta così? Come puoi permetterglielo?”
    “Eh?” chiese, con una strana espressione sul viso.
    “Ti ha trattato proprio come una put-”mi bloccai all’istante, consapevole dell’errore che avevo commesso.
    Sperai che non avesse capito quello che stavo per dire. Di solito non prestava attenzione alle mie parole, possibile che l’avesse fatto proprio quella volta?
    “È quello che sono” rispose lui semplicemente.
    Abbassai lo sguardo.
    Mi sentivo quasi ferito dalla sua indifferenza.
    Ero consapevole che le mie parole non lo toccavano, non si avvicinavano neanche a sfiorare la sua pelle perfetta.
    Vi avvicinai un po’ a lui e sussurrai: “Vorrei passare del tempo con te”
    Mi sembrò di vedere un sorriso disegnarsi sulle sue labbra.
    “Se davvero conosci le regole, dovrei sapere che ci vogl-”
    “Soldi, si molti, lo so” continuai, bloccandolo.
    “Infatti” disse, voltandosi verso di me, quasi incuriosito.
    Poi ritornò nella sua posizione.
    “Quanto? Dimmi quanto”
    “Troppo per un poveraccio come te” rispose, ormai irritato.
    Lo tirai per un braccio, tanto da farlo voltare.
    “Che cazzo ne sai tu? Non sono un poveraccio!” urlai, prima di lasciarlo andare.
    Non dovevo esagerare.
    Mi strofinai gli occhi con una mano, cercando di ritrovare la calma.
    Mi guardai intorno, ma nessuno si era accorto del mio scatto, per fortuna.
    Perfino il moro sembrava non averci fatto caso.
    “Perché non posso averti?”
    “Non dipende da me” rispose, con la solita freddezza nella voce.
    “Anche fuori da questo posto, non è un problema”
    Questa volta sembrò davvero divertito, ma parlò serio.
    “Io non esisto fuori da questo posto”
    Rimasi immobile, le sue parole mi avevano spaventato, sembrava una condanna.
    Eppure probabilmente era la verità.
    “Ti ho visto, in quel negozio” insistetti.
    “Non ero io”
    “Ti ho visto” continuai.
    Non poteva ingannarmi, non poteva mentirmi.
    Mi stupii di me stesso e della perseveranza nel voler parlare a tutti i costi con lui, sapendo benissimo che per il moro contavo meno di zero.
    Non riuscivo a spiegarmi questa specie di attaccamento, questo legame che in fin dei conti non esisteva, che era solo frutto del mio cervello malato.
    Stavo perdendo tempo con lui quando avrei potuto scoparmi una, due ragazze quella sera.
    Eppure ero li, accanto a lui.
    E non ne ero affatto pentito.
    “Non posso perdere tempo con te” disse e si alzò, con una calma che pochissime persone possono vantarsi di avere.
    “Aspetta, dimmi se potremo vederci” continuai, imperterrito.
    Si voltò ancora, quando era già qualche passo lontano da me.
    Scosse il capo.
    “Dimmi almeno quanto ci vuole”
    Troppo” disse.
    E sparì tra i tavoli.

    Fine capitolo 4



    Sappiamo che la storia non è ancora nel "vivo" diciamo^^ Pazientate un po' eheh
    Speriamo che vi piaccia questo capitolo^^
     
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    YunJae

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    Leggo *-*
     
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  4. saki '95
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    Belloooooooooooooooooooooooo *-*
    Povero Tomi però xDxD
     
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    YunJae

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    Bellissimooooooooo..
    Tomi *-*
    Bibi -__-"

    Ma Gordon è ciccione?
     
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  6. LadyDepp
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    No XD Però diciamo che è più grosso nella fic ahahaha rispetto a Tomi eheh
    Grazie per i vostri commenti^^ Ci fa davvero piacere! *____*
     
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  7. Sekunden**
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    Ma perchè ci lasciate cosìììì

    :cry:

    Bel capitolo ^^
     
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  8. Schneeflocke
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    Mmmmmmmmm... Bill è davvero uno zoccolo duro! Eh ma Tom riuscirà ad ammorbidirlo. E a salvarlo...
    Grazie del capitolo! Con ANSIA aspetto il seguito...!
     
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    zoccolo duro

    Se era una battuta sappi che mi ha fatto morire
     
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  10. saki '95
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  11. Schneeflocke
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    CITAZIONE (Eire @ 18/9/2009, 19:25)
    CITAZIONE
    zoccolo duro

    Se era una battuta sappi che mi ha fatto morire

    OMG no! ^^'' Non avevo fatto caso al possibile doppio senso!
     
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  12. LadyDepp
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    Ecco il 5 capitolo :P

    Capitolo 5



    Non capivo perché insistesse così tanto.
    “ Dimmi almeno quanto ci vuole”
    Troppo
    Risposi senza guardarlo in faccia.
    Dietro di lui, vidi Gordon che mi fissava sospettoso.
    Ancora una volta mi aveva beccato con quel ragazzo.
    Sentii l’irritazione crescere in me, e senza dire più nulla, me ne andai infilandomi in mezzo ad alcuni tavolini.
    “ Buona sera Perla”
    Fui fermato dalla mano di un uomo, seduto ad uno di quei tavoli.
    Avevo la sua mano posata sul mio fianco sinistro.
    Riconobbi quel tocco liscio e ruvido allo stesso tempo.
    “Buona sera Bushido” soffiai abbassandomi un po’ per sussurrargli quella frase nell’orecchio.
    Sentii l’uomo fremere, quando con l’indice gli tracciai il profilo delle labbra.
    “Siediti tesoro, stavamo proprio parlando di te”
    Mi trovai appollaiato sulle sue gambe, lui continuava ad accarezzarmi i capelli e a baciarmi sensualmente il collo.
    Gli altri uomini ci fissavano con gelosia, e quasi stupiti dal fatto che mi ero concesso a Bushido immediatamente.
    Ma forse non sapevano che lui era uno dei miei clienti fissi, forse il più fisso.
    Veniva quasi ogni sera, e a volte non voleva nemmeno il servizio completo.
    Gli bastava farmi fare un pompino, o scoparmi solo con la mano.
    Era il genere d’uomo che Gordon amava, era il genere d’uomo che pagava molto e spesso.
    “Tutto a posto, dolcezza?” mi domandò fissandomi negli occhi “ Ti danno fastidio?” sussurrò poi nel mio orecchio, giocherellando con una ciocca dei miei capelli.
    Scossi la testa, noncurante.
    Solo in quel momento mi ero accorto che gli altri uomini mi stavano squadrando spudoratamente, e che alcuni continuavano a fare battute oscene senza curarsi del fatto che ero proprio davanti a loro.
    Bushido sorrise e mi prese il volto tra le mani, avvicinando le sue labbra alle mie.
    Con la coda nell’occhio vidi uno degli uomini infilarsi la mano nei pantaloni.
    Sogghignai tra me e me, e iniziai a ondeggiare con il bacino.
    Bushido ansimò leggermente, e mi strinse di più spingendo il mio sedere verso di lui.
    Cercò di baciarmi quasi violentemente, ma non gli lasciai il controllo.
    Infilai nella sua bocca la mia lingua, che immediatamente trovò la sua, e iniziammo una lotta furiosa, tra gemiti e ansiti.
    Alcuni uomini si alzarono dalle sedie e si avvicinarono per guardarci più da vicino.
    Erano così maiali.
    Sogghignai, terminando il bacio con delusione di tutti.
    “ Stasera sei mio, ti voglio per tutta la notte” mi soffiò Bushido sfiorandomi le labbra un’ultima volta, quando capii che stavo per alzarmi dalle sue gambe.
    “ Godrai, amore, come godrai” continuò palpandomi spudoratamente il sedere.
    Sapevo che l’avevo fatto eccitare molto.
    Ero soddisfatto.
    Quella sera avrebbe pagato molto, perché gli avrei concesso ogni cosa.

    Quando tornai al bancone, notai come il ragazzo con i rasta mi stesse fissando da lontano.
    Sicuramente aveva visto tutto quello che era accaduto al tavolo con Bushido.
    Mi sentii un po’ strano in quel momento.
    I suoi occhi mi trafiggevano come lame.
    Sembrava quasi furioso.
    Mi sedetti, dandogli le spalle, ma in qualche modo ero consapevole del suo sguardo ancora puntato su di me.
    Ignorai quella strana sensazione e ordinai un bicchiere d’acqua.
    “ Subito P” disse Bob, porgendomi insieme a quello che avevo ordinato, una pillola trasparente.
    Con quella non avrei avuto problemi di cibo per tutta la notte.
    “ Ti vedo stanco” provò ad attaccare bottone, ma io lo ignorai.
    Ci mancava solo lui.
    Ingoiai la pillola con un sorso d’acqua e poggiai il bicchiere sul bancone.
    Mi voltai un poco, guardandomi intorno noncurante, e notai che il ragazzo rasta non c’era più.
    Finalmente aveva capito che l’unica cosa da fare era cedere.
    Mi venne da sbadigliare, e cercai di reprimere con forza lo sbadiglio.
    Cazzo cazzo
    Alla fine ci riuscii.
    Meno male pensai tra me e me, soddisfatto.
    Mi girai di nuovo per bere un altro po’ d’acqua, quando notai improvvisamente che quel ragazzo non se n’era andato, si era solo spostato.
    E precisamente a due sgabelli dal mio.
    Alzai un sopracciglio, perplesso ma anche interessato.
    Non demordeva… voleva ancora provarci?
    Mi venne quasi da sorridere, però naturalmente non lo feci.
    Quando ritornai in me, decisi che davvero stavo perdendo il mio tempo anche solo a pensarlo.
    Iniziavo ad irritarmi.
    Perché cazzo ora lo fissavo?
    Anche lui sembrava sorpreso quanto me.
    Ma non osava avvicinarsi o dirmi qualcosa, perché nei suoi occhi vedevo ancora una traccia di rabbia.
    Mi alzai dallo sgabello così velocemente che questo cadde.
    Quando tutti si voltarono a guardarmi a causa del rumore, il mio cervello andò quasi in tilt.
    Ci vollero tre Bill calmati mentali per riprendere in mano il controllo.
    Le mie guance sembravano ardere dentro, ma non presero mai il colore roseo.
    Non accadeva più da molto tempo.
    Ero indeciso se alzare o no lo sgabello, ma Gordon venne in mio aiuto così rapidamente che fu quasi contento di vederlo.
    “ Che cazzo stai combinando?” soffiò nervoso, mentre uno dei camerieri che aveva chiamato, metteva lo sgabello al suo posto.
    “ Non capisco” risposi, indifferente.
    “ Hai fatto cadere la sedia” sbottò irritato, cercando di capire se qualche cliente fosse rimasto sconvolto da quello che era successo.
    Ed era una cosa alquanto improbabile.
    Inarcai il sopracciglio, altezzoso.
    “ Stai esagerando”
    Ora era tutto a posto.
    Anche le mie guance lo erano.
    “ E’ la sua vicinanza che ti fa questo effetto disastroso?!” sputò Gordon, indicando il rasta.
    Gli lanciai un’occhiata.
    Mi stava guardando attentamente, e sembrava non interessarsi di mio padre che gli aveva puntato il dito contro.
    Fissava solo me.
    “ E’ solo uno sgabello” dissi rivolto a Gordon, e decisi di andarmene.
    Ma lui non me lo permise, e mi strinse violentemente il polso sinistro.
    Mi stava facendo molto male, ma non diedi nessun segno di dolore.
    “ Stasera Bushido ha pagato un casino per averti, e tu non perderai tempo con questo qui! Sono stato chiaro, o devo ricordarti come si fa la puttana?”
    Non risposi, cercando di allentare la presa.
    “ Sono stato chiaro Bill??” ripetè con forza, stringendo di più.
    “ Si ”soffiai a bassa voce, per liberarmi di lui.
    Il polso mi faceva male un casino.
    “ Va bene” Gordon lasciò la presa e poi mi sorrise.
    Ero ormai abituato ai suoi cambiamenti di umore.
    Li odiavo così come odiavo lui.

    “Vuoi una mano?”
    Me lo domandava ogni volta, ma sapeva benissimo che la mia risposta non cambiava.
    “No”
    “Come vuoi”
    Marica si sedette sul mio letto, e iniziò ad osservarmi.
    Io pettinavo i miei lunghi capelli davanti allo specchio, assorto nei miei pensieri.
    Ero indeciso se indossare il gilet, oppure no.
    “Stasera hai molto da fare?”
    Non risposi subito.
    Poggiai il pettine sul tavolino e mi voltai verso lei.
    “Come tutte le sere”
    “ Non sembri mai stanco però”
    Marica mi fissò indagatrice, e io pensai che aveva usato il verbo giusto.
    In realtà ero stanco e molte altre cose, ma nessuno doveva saperlo tranne me.
    Subito il mio sguardo si posò sul polso sinistro fasciato.
    Non riuscivo a muoverlo dalla sera precedente.
    Comunque quella sera avrei dovuto togliermi la fascia e riuscire a farlo funzionare per bene.
    Assolutamente.
    Per mia sfortuna, gli occhi di Marica saettarono dove si erano posati i miei.
    Mi preparai a una valanga di domande.
    “ Che è successo? L’hai slogato? Cazzo, ma riesci a muoverlo? E se qualche cliente ti chiede di fargli una sega dovrai utilizzare solo una mano? Gordon lo sa?”
    Mi alzai dallo sgabello, ignorandola.
    Mi diressi verso il bagno e quando ci entrai, chiusi la porta.
    Sentii Marica sparare una cinquantina di parolacce tutte in fila, e poi quando non udii più nulla, capii che era a corto di fiato.
    Sapevo che odiava quando facevo finta che non esistesse, ma non mi interessava più di tanto.
    “Beh e sai che ti dico?? Che non mi preoccuperò mai più per te!! E ora me ne vado! Vaffanculo!”
    Aveva ritrovato il fiato.
    Sentii poco dopo la porta sbattere, e solo allora uscii dal bagno.

    Quella sera decisi di andare a sedermi subito al bar.
    Gordon non c’era, non mi sentivo osservato, e perciò avevo deciso di ignorare per un po’ i miei clienti.
    Avevo soltanto salutato Bushido con una leccatina sulla guancia e poi l’avevo lasciato inventandomi che volevo qualcosa da bere per riscaldarmi.
    Tanto quella sera non sarei andato con lui.
    Era venuto soltanto per passare un po’ il tempo e per salutarmi.
    Naturalmente aveva pagato comunque.
    Gli ero grato per quello che faceva per me.
    Pagare senza avermi, significava un cliente in più e quindi più soldi.
    “ Il solito?”
    Annui a Bob, e appoggiai le braccia sul bancone.
    Iniziai a battere con il dito indice sul legno.
    Non sapevo nemmeno io perché ero stato così tanto ansioso di sedermi al bar.
    Non mi era mai piaciuto stare tanto tempo li, senza fare niente.
    Decisi di lasciar perdere e di non pensare al perché.
    Mi facevo solo problemi inutili.
    Alzai lo sguardo, prendendo il bicchiere che Bob aveva posato di fronte a me.
    Bevvi un po’, e dopo aver poggiato il bicchiere, mi voltai verso la persona che si era seduta accanto.
    Sapevo che era lui, e il mio istinto non aveva sbagliato.
    “ Che prendi?” gli domandò Bob, gettandogli un’occhiata.
    Il ragazzo disse qualcosa, ma io non sentii.
    Lo stavo squadrando per capire che cosa c’era di diverso in lui.
    Poi notai che non aveva il solito cappello, ma che indossava solo la fascia.
    Decisi di distogliere lo sguardo.
    Mi sembrava un po’ strano il fatto che non avesse ancora attaccato bottone, quando la sera prima aveva cercato in tutti i modi per passare una notte con me.
    Forse finalmente si era arreso.
    Pensai che dopotutto non erano fatti miei, e presi il mio bicchiere per bere un altro sorso.
    Lo feci con la mano sinistra, e fu un errore.
    Un piccolo gemito di dolore uscì dalle mie labbra e subito capii che il rasta aveva posato lo sguardo su di me.
    Facendo finta di niente, poggiai di nuovo il bicchiere e cercai di non toccare il mio polso dolorante.
    “ Ti fa male?”
    Non mi voltai al suono della sua voce, deciso a non prestargli attenzione.
    “ Perché ti fai trattare così, non capisco”
    Sospirai e mi girai, guardandolo dritto negli occhi.
    “ Quale parte del non puoi avermi non ti è chiara?”
    Vidi la sua espressione farsi più dura e quasi ne fui spaventato.
    Ero convinto che stesse cercando una scusa per parlarmi e convincermi ad andare a letto con lui, ma forse non era così.
    Forse mi ero sbagliato.
    “ Mi è tutto chiaro, invece” mi disse con una traccia di irritazione.
    Si alzò dallo sgabello, stringendo i pugni, e mi gettò un’ultima occhiata prima di andarsene.
    esasperazionegelosiapassioneimpazienza
    Lo guardai anche io e per la prima volta sapevo di avere dei brividi su tutto il corpo.


    Fine capitolo 5



    Speriamo che vi piaccia^^ A presto!
     
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  13. jandira
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    stupenda
     
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  14. LadyDepp
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    Grazie mille!!!^_^
     
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    YunJae

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    Ho appena iniziato a leggere.. BUSHIDO????? :tears:
     
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